martedì 24 giugno 2025

LA LUCE NELLE TENEBRE

LA LUCE NELLE TENEBRE

Nelle pieghe più oscure della società filippina, tra le lamiere arrugginite e le baracche instabili di Payatas, emerge una luce che non si spegne: quella della solidarietà, della compassione e della fede vissuta in modo radicale. Il racconto di padre Daniel Franklin Pilario e dell’opera della Solidarity with Orphans and Widows scuote le coscienze. In un mondo che spesso gira le spalle agli "scartati", lì dove la povertà sembra essere una condanna senza appello e la giustizia una parola vuota, ci sono uomini e donne che decidono di restare, di ascoltare, di curare, di accompagnare. Sono davvero gli "angeli delle periferie", non solo perché portano aiuto materiale, ma soprattutto perché restituiscono dignità, ascolto e speranza a chi la società ha dimenticato.

 La realtà di Payatas è simbolo di un mondo spezzato. Le vite di migliaia di persone ruotavano intorno a una discarica, che per molti era unica fonte di sussistenza. Quando quella fonte è stata chiusa, non è seguita una politica di reinserimento o di supporto strutturato: è calato il silenzio, e con esso la disoccupazione e la disperazione. Ma la povertà economica si è presto intrecciata con una tragedia ancora più drammatica: quella della “guerra alla droga” portata avanti dall’ex presidente Rodrigo Duterte. Una campagna segnata da migliaia di esecuzioni extragiudiziali, da un clima di terrore, da famiglie distrutte nel nome di un’ideologia che ha sacrificato l’umanità sull’altare della sicurezza. Donne, madri, nonne — come Ramy, Anna, Jesse — si sono ritrovate senza mariti, senza figli, senza più voce, senza più appigli.

 In questo contesto, l’opera di padre Pilario non è semplicemente un’azione caritativa. È resistenza morale. È annuncio profetico. È la Chiesa che non si accontenta di predicare, ma scende nelle strade, si sporca le mani, si inginocchia davanti al dolore. La scelta di Pilario di essere un “prete di strada”, pur essendo accademico e preside universitario, racconta qualcosa di fondamentale: che l’intelligenza della fede trova il suo compimento nell’amore concreto, nel servizio disinteressato, nella prossimità. Le vedove di Payatas non cercano spiegazioni teologiche astratte: hanno bisogno di piangere, di raccontare, di essere ascoltate, di intravedere un futuro per sé e per i loro figli.

 Attraverso la Solidarity with Orphans and Widows, molte di queste donne stanno tornando a vivere. L’opera di formazione professionale, i laboratori di cucito, la fabbricazione di borse, non sono solo attività economiche: sono strumenti di riscatto, di autodeterminazione, di riconquista di sé. Lì dove c’era solo perdita, ora si intravede una possibilità di rinascita. La giustizia, certo, richiede anche processi e condanne: ma senza la cura del cuore, la giustizia resta incompleta. Padre Pilario lo dice chiaramente: il perdono può nascere solo laddove la dignità viene ristabilita, laddove la vita torna ad avere un senso.

 Questo cammino non riguarda solo Payatas. È un appello che tocca tutti noi. Viviamo in un mondo frammentato, polarizzato, segnato dalla sfiducia e dal cinismo. Le Filippine, in prossimità di nuove elezioni, vivono una stagione delicatissima. Ma ciò che accade lì è specchio di un malessere globale: la tendenza a semplificare i problemi complessi, a cercare capri espiatori, a tollerare — o addirittura promuovere — forme di violenza “legittimata” in nome dell’ordine. In questo scenario, la risposta della Chiesa, con l’atto di consacrazione alla Divina Misericordia, ha un significato profondissimo: riconoscere che solo un cuore riconciliato può costruire la pace. Solo un popolo che prega insieme, che piange insieme, che si rialza insieme, può ritrovare unità.

 Questa storia ci interroga nel profondo: qual è il nostro ruolo di fronte al dolore dell’altro? Siamo spettatori distaccati, commentatori da tastiera, oppure siamo pronti a fare un passo, anche piccolo, verso chi ha bisogno? Padre Pilario non è un eroe da venerare: è un esempio da seguire. La sua testimonianza ci invita a riconoscere che non esiste vera spiritualità che non si traduca in impegno concreto. Il Vangelo non è un libro di morale, ma un invito a incarnare la misericordia.

 Nelle lacrime delle donne di Payatas, nel silenzio ferito dei figli rimasti orfani, si cela un appello potente: non voltarsi dall’altra parte. E se è vero che le ferite della violenza non si rimarginano facilmente, è altrettanto vero che la presenza amorevole, fedele e gratuita può aprire percorsi di guarigione. Come insegna papa Francesco, la Chiesa deve essere “ospedale da campo”, e lo è davvero quando, come in Payatas, fascia le ferite, accompagna i dolori, restituisce voce a chi era stato messo a tacere.

 Che questa luce continui a brillare. E che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo essere angeli delle periferie.

 

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