«IL MODO MIGLIORE PER CAPIRE COSA SIGNIFICA DONARE È ASCOLTARE LE STORIE»
Era il 29 settembre 1994 quando la vita di una famiglia americana in vacanza in Italia cambiò per sempre — e con essa, anche quella di un intero Paese. Nicholas Green, un bambino di sette anni dai grandi occhi curiosi, viaggiava con i genitori, Margaret e Reginald, e la sorellina Eleanor lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Era una vacanza, un’occasione per stare insieme. Nessuno poteva immaginare che quel viaggio si sarebbe trasformato in una tragedia. Un tentativo di rapina finito nel peggiore dei modi: un proiettile colpì Nicholas. Poche ore dopo, la diagnosi crudele: morte cerebrale.
In quel momento, due genitori devastati dal dolore presero una decisione che avrebbe cambiato il destino non solo di sette persone, ma anche di una nazione intera. Margaret e Reginald scelsero di donare gli organi del loro bambino. Un atto di coraggio e di amore incondizionato, compiuto nel cuore di un dolore senza nome. Grazie a Nicholas, sette vite furono salvate. Sette storie continuarono, intrecciandosi per sempre con quella di un bambino che non c’era più. E, come una pietra gettata nell’acqua, quell’onda cominciò ad allargarsi.
All’epoca, la cultura della donazione in Italia era ancora acerba. La decisione dei Green, tuttavia, scosse profondamente l’opinione pubblica. I media, soprattutto la televisione, trasformarono quella tragedia in un simbolo di solidarietà. Il piccolo Nicholas diventò il volto della speranza, il simbolo di un’Italia che poteva essere più consapevole, più generosa, più unita. Le parole di Enzo Biagi, inserite in un frammento d’archivio, risuonano ancora oggi: «Ci ha insegnato che la generosità può essere un conforto».
Trent’anni dopo, quel gesto continua a produrre frutti. Il documentario Effetto Nicholas, che è andato in onda su Rai2, ha raccontato proprio questo: come il dolore più profondo possa generare bellezza, consapevolezza, rinascita. Ideato da Carmen Vogani e diretto da Edoardo Anselmi, con la scrittura di Lorenzo Avola, il racconto ci guida attraverso testimonianze toccanti e immagini d’archivio. Ritroviamo i genitori e la sorella di Nicholas, ma anche chi — grazie a quel dono — ha potuto continuare a vivere. Sette persone, sette vite salvate. Ma anche molte di più, perché Nicholas non ha solo salvato quei corpi: ha risvegliato un Paese.Nel 1994 le donazioni d’organo furono 450. Solo un anno dopo, erano aumentate del 25%. Nel 2024 si è toccata quota 2110: il numero più alto di sempre. Non è un caso. Come ricorda Giuseppe Feltrin, direttore del Centro nazionale trapianti, «il gesto dei Green ha dato il via a un cambiamento culturale profondo». E oggi, a distanza di tre decenni, Reginald e Margaret sono tornati in Italia. Li vediamo all’Università di Messina e all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Sono sempre loro, con la stessa forza, lo stesso impegno, lo stesso amore che li ha spinti a fondare la Nicholas Green Foundation, per promuovere la cultura della donazione in tutto il mondo.
«Il modo migliore per capire cosa significa donare è ascoltare le storie», dice Margaret. È attraverso quei racconti — di chi dona, di chi riceve, di chi sopravvive — che si può cogliere davvero la portata di quel gesto. Il documentario tocca anche un tema delicato: l’incontro, spesso negato per legge, tra le famiglie dei donatori e i riceventi. Lo fa con sensibilità, con rispetto, con verità. E chiude con una frase semplice ma potente, che racchiude tutto:
“Ha trasformato una tragedia in un manifesto di solidarietà.”Nicholas Green non è più tra noi, ma la sua luce — quella “grande scintilla” — continua a brillare.
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