sabato 5 ottobre 2024

05.10.2024 - Gb 42,1-3.5-6.12-16 - Lc 10,17-24 Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.

Dal libro di Giobbe - Gb 42,1-3.5-6.12-16

Giobbe prese a dire al Signore:
«Comprendo che tu puoi tutto
e che nessun progetto per te è impossibile.
Chi è colui che, da ignorante,
può oscurare il tuo piano?
Davvero ho esposto cose che non capisco,
cose troppo meravigliose per me, che non comprendo.
Io ti conoscevo solo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
Perciò mi ricredo e mi pento
sopra polvere e cenere».
Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato.
Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine.
Ebbe anche sette figli e tre figlie. Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea.
In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell’eredità insieme con i loro fratelli.
Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni.
Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni.

1. Giobbe ha capito di non aver capito nulla. Giobbe conosceva Dio per sentito dire, lo conosceva da lontano, da molto lontano, “MA ORA I MIEI OCCHI TI HANNO VEDUTO”. Ora conosce Dio perché ha ascoltato la sua voce, è entrato nel mistero della sua onnipotenza e della sua sapienza. ORA LA SUA CONOSCENZA È VERA. Perciò GIOBBE SI RICREDE E SI PENTE …” Nel suo cammino segnato dal dolore, ha dovuto convertire la sua fede in Dio.
2. LA FEDE E L’UMILTÀ DI GIOBBE hanno fatto la differenza, ed una grande lezione anche per noi, che spesso non capiamo e soffriamo in questa vita. DIO CI OFFRE UNA SPERANZA che nella fede non potrà essere disattesa.
3. E IL SIGNORE BENEDISSE IL FUTURO DI GIOBBE PIÙ DEL SUO PASSATO. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Lo benedisse anche nei figli e nelle figlie e visse altri centoquarant’anni vedendo crescere figli e nipoti per quattro generazioni. LA SOVRABBONDANZA DI DIO!

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+ Dal vangelo secondo Luca - Lc 10,17-24
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono». 

 

Grazie alla presenza di Gesù, il demonio è sconfitto. I discepoli festeggiano la loro vittoria sul male, ma Gesù sottolinea che la vera ragione della loro gioia è la consapevolezza del dono della salvezza e dell'amore di Dio, sapendo che i loro nomi sono scritti nei cieli. Non dobbiamo vantarci, poiché il vero protagonista è il Signore. Alla gioia dei discepoli si unisce l’esultanza di Gesù nell’“inno di giubilo”, riconoscendo la fede dei piccoli che accolgono la predicazione con umiltà. Tutto questo avviene nella forza dello Spirito Santo, che illumina le situazioni secondo la volontà di Dio. E Tu sei consapevole che la tua vera gioia risiede nel dono della salvezza e nell'essere amato e scelto da Dio?

 

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05.10 SANTA FAUSTINA KOWALSKA

La misericordia agisce in tutti i cuori che le aprono le porte.
 A Cracovia in Polonia, santa Maria Faustina (Elena) Kowalska, vergine delle Suore della Beata Maria Vergine della Misericordia, che si adoperò molto per manifestare il mistero della divina misericordia.
NELLO STESSO GIORNO:
BEATO MATTEO CARRERI SACERDOTE DOMENICANO
Mantova, 1420 - Vigevano, 5 ottobre 1470
Gian Francesco Carreri nacque a Mantova tra il 1420 e il 1425. A vent’anni entrò nel convento domenicano di Santa Maria degli Angeli, presso la città natale, prendendo il nome di Matteo. Ordinato sacerdote, per molti anni fu maestro dei novizi. Successivamente fu inviato a Soncino, nel Cremonese, dove guidò sulla via della perfezione evangelica la beata Stefana Quinzani. Fu poi trasferito a Vigevano per una nuova missione evangelizzatrice, e là morì il 5 ottobre 1470.

venerdì 4 ottobre 2024

04.10.2023 - Gal 6,14-18 - Mt 11,25-30 - Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati - Gal 6,14-18

Fratelli, quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.

1. Paolo viene a sapere che i Gàlati (dietro suggerimento di anonimi predicatori) vogliono FARSI CIRCONCIDERE E ADERIRE ALLE USANZE DELLA LEGGE MOSAICA. Questo significa non solo fare un passo indietro, ma TRADIRE IL VANGELO, la sua forza di Legge nuova, LEGGE CHE COINVOLGE LA LIBERTÀ E L'INTELLIGENZA DELL'UOMO.
2. IL VANTO DI PAOLO È LA CROCE DEL SIGNORE e non certo le glorie del mondo. Davanti al mistero della croce e risurrezione di Cristo, la circoncisione perde di importanza. Il VANGELO OFFRE A TUTTI LA POSSIBILITÀ DI UNA VITA NUOVA. È una nuova creazione.  
3. Lui stesso HA GIÀ LA SUA PARTE DI SOFFERENZE DA PORTARE PER AMORE DI CRISTO. II segno fisico che porta sono le stigmate, cioè LA PARTECIPAZIONE ALLE SOFFERENZE DI CRISTO. È un "SEGNO DISTINTIVO" di ogni cristiano…

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+ Dal vangelo secondo Matteo - Mt 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Solo chi ha un cuore semplice, può accogliere Gesù. Solo chi cerca trova Colui che gli si mette accanto e cammina con lui. Per essere piccoli, cioè poveri in spirito, e docili alla volontà di Dio occorre essere consapevoli dei propri limiti di creature. Non superbi!
Gesù promette di dare ristoro a tutti, ma ci fa un invito: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore». Il “giogo” del Signore consiste nel caricarsi del peso degli altri con amore fraterno. Una volta ricevuto il ristoro e il conforto di Cristo, siamo chiamati a nostra volta a diventare ristoro e conforto per i fratelli, con atteggiamento mite e umile, ad imitazione del Maestro.
La mitezza e l’umiltà del cuore ci aiutano non solo a farci carico del peso degli altri, ma anche a non pesare su di loro con le nostre vedute personali, i nostri giudizi, le nostre critiche o la nostra indifferenza“.

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Gesù lo sa che noi siamo tutti stanchi e oppressi e cerchiamo ristoro. Ma noi lo sappiamo? O ci reputiamo sapienti e dotti? Forse dovremmo fare come i bambini che piangono quando sono stanchi.

 

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04.10 SAN FRANCESCO D'ASSISI - PATRONO D'ITALIA

Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita.
 Memoria di san Francesco, che, dopo una spensierata gioventù, ad Assisi in Umbria si convertì ad una vita evangelica, per servire Gesù Cristo che aveva incontrato in particolare nei poveri e nei diseredati, facendosi egli stesso povero. Unì a sé in comunità i Frati Minori. A tutti, itinerando, predicò l’amore di Dio, fino anche in Terra Santa, cercando nelle sue parole come nelle azioni la perfetta sequela di Cristo, e volle morire sulla nuda terra. Papa Pio XII ha proclamato lui e santa Caterina da Siena Patroni Primari d’Italia il 18 giugno 1939.

giovedì 3 ottobre 2024

03.10.2024 - Gb 19,21-27 - Mt 18,1-5.10 - Lc 10,1-12 - La vostra pace scenderà su di lui.

Dal libro di Giobbe - Gb 19,21-27b

Giobbe disse:
«Pietà, pietà di me, almeno voi, amici miei,
perché la mano di Dio mi ha percosso!
Perché vi accanite contro di me, come Dio,
e non siete mai sazi della mia carne?
Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».

1. Giobbe esprime il suo dolore e la sua frustrazione verso i suoi amici, che invece di offrirgli conforto, SI ACCANISCONO CONTRO DI LUI COME SE FOSSERO DIO. Questo mostra quanto sia IMPORTANTE LA COMPASSIONE E L'EMPATIA verso chi soffre, piuttosto che giudicare o criticare.
2. Giobbe desidera che le sue parole siano incise per sempre, esprimendo il bisogno umano di lasciare un segno duraturo, soprattutto nei momenti di grande sofferenza. VUOLE CHE IL SUO GRIDO DI DOLORE E LA SUA FEDE SIANO RICORDATI PER SEMPRE.
3. Nonostante la sua sofferenza, GIOBBE AFFERMA CON CERTEZZA CHE IL SUO REDENTORE È VIVO E CHE, DOPO LA SUA MORTE, LO VEDRÀ CON I PROPRI OCCHI. Questa dichiarazione potente di fede e speranza nella risurrezione sottolinea la convinzione che, nonostante le prove terrene, vi è una redenzione e un incontro finale con Dio.

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+ Dal Vangelo secondo Luca - Lc 10,1-12
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

 

Nell'inviare i settantadue discepoli, Gesù sottolinea che la missione si fonda sulla preghiera, richiede distacco e povertà, e porta pace e guarigione come segni del Regno di Dio. La missione deve essere annunciata con franchezza e libertà, senza condanne. Gesù avverte che i discepoli saranno come agnelli in mezzo ai lupi, ma la loro forza viene da Lui, l'Agnello di Dio. Vivere il Vangelo richiede una forza che nessuno ha da solo; è lo Spirito Santo che rende possibile questo compito, sostenendo e guidando ogni discepolo. Il regno di Dio va “detto” con la vita, esercitando la vicinanza. Che senso avrebbe dire, da lontano, di essere vicini?

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La missione è difficile, ma il messaggio è semplice: «È vicino a voi il regno di Dio». E questo va “detto” con la vita, esercitando la vicinanza. Che senso avrebbe dire, da lontano, di essere vicini?

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03.10 SAN GERARDO DI BROGNE

Nascita circa 890 - Morte 959
"Da questo abbiamo conosciuto l’amore di Dio: Egli ha dato la sua vita per noi, e anche noi dobbiamo dar la vita per i fratelli".
 Nel territorio di Namur, nell’odierno Belgio, san Gerardo, primo abate del monastero di Brogne da lui fondato, che si adoperò per il rinnovamento della disciplina monastica nelle Fiandre e nella Lotaringia e riportò molti cenobi alla originaria osservanza della regola.
NELLO STESSO GIORNO:
BEATO LUIGI TALAMONI Sacerdote e fondatore - MILANO
Monza, Monza e Brianza, 3 ottobre 1848 – Milano, 31 gennaio 1926
A Milano, beato Luigi Talamoni, sacerdote, che, coltivando la sua vocazione di educatore dei giovani, esercitò il proprio ministero con somma dedizione e con attiva partecipazione alle difficoltà della società del suo tempo e istituì la Congregazione delle Suore Misericordine di San Gerardo. La sua memoria liturgica, per le Suore Misericordine e la diocesi di Milano, cade il 3 ottobre, giorno del suo compleanno e del suo Battesimo.

AMORE E CURA NON HANNO ETÀ: ABBRACCIA I DIMENTICATI.

AMORE E CURA NON HANNO ETÀ: ABBRACCIA I DIMENTICATI. 
Jeanne, una signora di 97 anni, ha scritto una lettera ai suoi figli per raccontare la sua nuova vita nella casa di riposo, che sarà la sua ultima dimora. La sua lettera, intrisa di dignità e riflessione, esplora la realtà della solitudine e del distacco che sperimenta dopo aver lasciato la sua casa e i suoi beni più cari.
Nel descrivere la sua attuale condizione, Jeanne racconta con nostalgia la perdita di tutto ciò che ha avuto: dai mobili scelti con suo marito, ai libri della sua amata biblioteca, fino ai fiori del giardino che ha curato per anni. Riflette su come questi oggetti e luoghi rappresentassero più di semplici beni materiali; erano simboli di una vita piena di significato e di ricordi preziosi. La casa di riposo, con il suo arredo spartano e la routine quotidiana, appare come un luogo di grande distacco e privazione, dove gli oggetti che una volta le erano cari sembrano essere stati sostituiti da una realtà più sobria e impersonale.
Jeanne esprime anche il suo malessere per la mancanza di stimoli nella sua nuova destinazione. I libri che le portano i figli sono una piccola consolazione, ma la sua solitudine è grande. I suoi amici sono per lo più morti o in condizioni di salute precarie, e i residenti della casa di riposo, sebbene gentili, non sono in grado di offrire il contesto che viveva quando era a casa sua.
Inoltre, Jeanne parla della sua pratica religiosa, che ora è limitata a seguire la Messa quando arriva il sacerdote, una volta alla settimana, e il rosario tramite trasmissioni televisive. Sebbene queste trasmissioni siano un sostegno, non possono sostituire l'esperienza di pregare in Chiesa. Jeanne trova conforto nella preghiera personale, ma la mancanza della sua comunità le crea disagio e tristezza.
La lettera di Jeanne non è solo un resoconto della sua esperienza, ma anche un appello a considerare il destino degli anziani e degli abbandonati. Esprime una profonda preoccupazione per coloro che vivono in solitudine e povertà, privi della famiglia e della compagnia che potrebbe alleviare la loro condizione. Sottolinea l'importanza di essere presenti e affettuosi verso gli anziani, di non trascurare i loro bisogni emotivi e spirituali.
Jeanne riconosce che non tutti hanno la fortuna di avere una famiglia che possa visitare e prendersi cura di loro. Per questo motivo, chiede ai suoi figli di non solo pensare a lei, ma di estendere il loro amore e sostegno a tutti coloro che vivono situazioni simili. L'appello di Jeanne è per una maggiore umanità e compassione verso gli anziani e i soli, per portare loro il sorriso, l'affetto che possono fare una grande differenza nelle loro vite.
La lettera di Jeanne, quindi, è un potente richiamo alla responsabilità sociale e familiare, un invito a non dimenticare gli anziani e i dimenticati, e un richiamo alla cura e all'umanità che ogni persona merita, indipendentemente dalla propria condizione di vita.

mercoledì 2 ottobre 2024

02.10.2024 - Gb 9,1-12.14-16 - Mt 18,1-5.10 - I loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.

Dal libro di Giobbe - Gb 9,1-12.14-16

Giobbe rispose ai suoi amici e prese a dire:
«In verità io so che è così:
e come può un uomo aver ragione dinanzi a Dio?
Se uno volesse disputare con lui,
non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille.
Egli è saggio di mente, potente di forza:
chi si è opposto a lui ed è rimasto salvo?
Egli sposta le montagne ed esse non lo sanno,
nella sua ira egli le sconvolge.
Scuote la terra dal suo posto
e le sue colonne tremano.
Comanda al sole ed esso non sorge
e mette sotto sigillo le stelle.
Lui solo dispiega i cieli
e cammina sulle onde del mare.
Crea l’Orsa e l’Orione,
le Plèiadi e le costellazioni del cielo australe.
Fa cose tanto grandi che non si possono indagare,
meraviglie che non si possono contare.
Se mi passa vicino e non lo vedo,
se ne va e di lui non mi accorgo.
Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire?
Chi gli può dire: “Cosa fai?”.
Tanto meno potrei rispondergli io,
scegliendo le parole da dirgli;
io, anche se avessi ragione, non potrei rispondergli,
al mio giudice dovrei domandare pietà.
Se lo chiamassi e mi rispondesse,
non credo che darebbe ascolto alla mia voce».

1. Giobbe vede Dio talmente in alto che non si cura delle sue obiezioni o delle sue questioni. IL “DIO DI GIOBBE” È UN DIO CHE RIMANE STACCATO DALL’UOMO, che non condivide la sua sofferenza e la sua gioia; È UN DIO QUASI INDIFFERENTE ALLA PASSIONE DELL’UOMO: per questo, secondo Giobbe, è inutile discutere con lui.
2. Il rapporto con Dio è impari, del tutto squilibrato; non pare in realtà esserci neanche un vero rapporto, ma solo una sudditanza dell’uomo, che NON PUÒ FARE ALTRO CHE SUBIRE IL VOLERE DIVINO IMPOSTOGLI. In fondo IL RAPPORTO È SÌ IMPARI, MA LO È NELL’AMORE, un amore che non siamo in grado di capire fino in fondo e che ci richiede fiducia, pazienza e umiltà.
3. Giobbe desidera instaurare un rapporto con il suo Dio; LO VORREBBE PIÙ VICINO E PRESENTE. In qualche modo lo prega, gli chiede ascolto, aspetta la sua risposta. IN GESÙ AVREMO UN DIO TALMENTE APPASSIONATO DELL’UOMO CHE SI DONA TUTTO A LUI.

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+ Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 18,1-5.10
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli». 

I bambini ci ricordano che nei primi anni di vita siamo stati completamente dipendenti dagli altri, e anche il Figlio di Dio ha vissuto questa esperienza. Sono una ricchezza per l’umanità e la Chiesa, poiché ci insegnano l’umiltà e la necessità di aiuto, amore e perdono. Ricordano che siamo sempre figli e che la vita è un dono ricevuto, non creato da noi stessi. Dio ci ha donato l'Angelo custode, che ci accompagna nella crescita, simile ai nonni che con pazienza e saggezza guidano i nipoti verso la vita. Preghiamo oggi per tutti i nonni!

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I bambini non si annoiano a guardare lo splendore del mondo. Noi adulti abbiamo un altro gioco, fare classifiche, che Gesù fa saltare chiedendoci: ma non vi annoiate a dire sempre chi è il più grande?

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02.10 SS. ANGELI CUSTODI

L'Angelo ci invita a considerare noi stessi con soave leggerezza, affrontando in modo gioioso le sfide della vita. Anselm Grun
 Memoria dei santi Angeli Custodi, che, chiamati in primo luogo a contemplare il volto di Dio nel suo splendore, furono anche inviati agli uomini dal Signore, per accompagnarli e assisterli con la loro invisibile ma premurosa presenza.

martedì 1 ottobre 2024

01.10.2024 - Gb 3,1-3.11-17.20-23 - Lc 9,51-56 - Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.

Dal libro di Giobbe - Gb 3,1-3.11-17.20-23

Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. Prese a dire:
«Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.
Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?
Perché due ginocchia mi hanno accolto,
e due mammelle mi allattarono?
Così, ora giacerei e avrei pace,
dormirei e troverei riposo
con i re e i governanti della terra,
che ricostruiscono per sé le rovine,
e con i prìncipi, che posseggono oro
e riempiono le case d’argento.
Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,
o come i bambini che non hanno visto la luce.
Là i malvagi cessano di agitarsi,
e chi è sfinito trova riposo.
Perché dare la luce a un infelice
e la vita a chi ha amarezza nel cuore,
a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro,
che godono fino a esultare
e gioiscono quando trovano una tomba,
a un uomo, la cui via è nascosta
e che Dio ha sbarrato da ogni parte?».

1. Giobbe piegato dal dolore MALEDICE IL GIORNO DELLA SUA NASCITA. In questa maledizione non vi è nulla di offensivo né contro Dio né contro la vita. In una visione di fede ancora non perfetta, perché carente della verità sulla gloriosa risurrezione, LA NON NASCITA È PREFERIBILE AD UNA VITA AVVOLTA DA UN DOLORE COSÌ INTENSO.
2. Giobbe pensa: “se fossi morto appena nato, o appena concepito, ora giacerei nella pace, dormirei tranquillo”. Nel mondo dopo la morte i malvagi cessano di agitarsi, e CHI È SFINITO TROVA RIPOSO. Nell’altro mondo la vita è totalmente differente da quella che si vive sulla terra. QUI GIOBBE AFFERMA LA CONTINUAZIONE DELLA VITA DOPO LA MORTE.
3. LA VITA DI UNA PERSONA INFELICE HA SENSO? A CHE SERVE LA VITA? Queste domande manifestano il dolore di Giobbe e IL DESIDERIO DI VITA PIENA, DI ESSERCI E DI ESSERCI NELLA LETIZIA. L’infelicità che, giustamente e umanamente, Giobbe prova dopo tutto quel che è successo, PUÒ ESSERE TRASFORMATA IN GIOIA solo con la speranza e la forza della fede.

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+ Dal Vangelo secondo Luca - Lc 9,51-56
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.  

 

Il cammino di Gesù verso Gerusalemme rappresenta il suo destino di ritorno al Padre. Quando i samaritani gli impediscono il passaggio, Gesù sceglie un'altra strada, dimostrando che nulla può fermare il suo cammino. Giacomo e Giovanni, invece, reagiscono con rabbia e chiedono di punire i samaritani. Gesù li rimprovera, poiché i suoi discepoli devono superare la legge del taglione e abbracciare l'amore, che richiede umiltà, pazienza e volontà di comprendere e salvare gli altri. L'odio offre una soddisfazione immediata, ma l'amore, più difficile, è la vera via del discepolo. Ti vedi in questa logica?

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Gesù va verso la sua passione “indurendo il suo volto” e il suo parlare, rimproverando gli apostoli “infuocati”, più realisti del re. Ma sappiamo riconoscere il re? Anche quando sale sulla croce?

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01.10 SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO

 Alençon (Francia), 02.01.1873 - Lisieux, 30.09.1897
La perfezione consiste nel fare la volontà di Dio, nell'essere come vuole lui.
Memoria di santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa. Concluse la sua vita il 30 settembre, all'età di venticinque anni.

LACRIME DI CUORE, SORRISO DI SPERANZA.

LACRIME DI CUORE, SORRISO DI SPERANZA.

Perché si piange? I motivi possono essere molti: rabbia, gioia, commozione. Certo è che se le lacrime escono dagli occhi è dal cuore che nascono. Ed è per questo che le lacrime non lasciano mai indifferenti, toccano a loro volta il cuore di chi le vede. È quello che è successo, quando Papa Francesco ha lavato i piedi a dodici detenute durante la Messa in Coena Domini celebrata nel carcere femminile romano di Rebibbia. Alcuni di loro, di fronte all'anziano Papa che incedeva sulla sedia a rotelle, lavava loro i piedi e poi li baciava, sono rotti in pianto. Un pianto commosso, che è parso liberatorio, in un luogo che per definizione circoscrive la libertà. Certamente un piangere che sgorgava dal cuore.
Non sappiamo quali pensieri passavano nella loro mente in quegli istanti, quali emozioni, quali immagini di una vita dura, appesantita da tante cadute. Né lo sapeva il Papa in quel momento. Le lacrime sono un dono, ci ha detto tante volte in questi primi undici anni di Pontificato. Le lacrime sono anche un mistero. In quelle gocce minuscole, dal sapore salato ma che lasciano l'amaro in bocca, c'è in fondo il condensato di una vita. Un mistero nel Mistero sono le lacrime di Gesù. Non ci siamo forse chiesti almeno una volta, leggendo i Vangeli, perché il Signore piangesse davanti alla tomba dell'amico Lazzaro sapendo che di lì a poco lo avrebbe riportato alla vita? E non ci ha suscitato profonda emozione e stupore leggere delle sue lacrime nel guardare Gerusalemme e di quelle nella drammatica notte al Getsemani mentre sudava gocce come sangue?
Quelle lacrime sono davvero un mistero che possiamo sfiorare solo con il senso della fede. Eppure è proprio questa narrazione, così profondamente umana, a rendere Gesù così vicino a coloro che soffrono, sia oggi che in ogni epoca. Ogni madre che piange per un figlio mandato in guerra da uomini ormai incapaci di piangere può sentire compresa da Colui ha versato lacrime per coloro che amava. Ciascun padre che fatica ogni giorno per portare il pane a casa per i propri figli, e magari piange di nascosto per non farsi vedere da loro, può riconoscere che il Figlio di Dio ha versato lacrime proprio come lui. E quindi può capirlo.
Alle lacrime di quelle donne incontrate a Rebibbia, il vescovo di Roma ha risposto con un sorriso carico di tenerezza. È il sorriso del pastore che ama le sue pecorelle e soprattutto quelle che credevano perdute. È il sorriso del padre che abbraccia il figlio prodigo atteso con pazienza, come tanti padri che anche oggi non si stancano di aspettare il ritorno dei propri figli persi nei labirinti della nostra società. Ma quel sorriso di Papa Francesco — in un mondo ferito da tante paure e da una violenza che speravamo consegnata alla storia — è per tutti noi. È un sorriso che dà speranza e ci testimonia l'amore di Dio. Un amore ricco di misericordia, di un Padre che “mai si stanca di perdonare”. E di cui abbiamo bisogno oggi più che mai, perché come il Venerdì Santo ci insegna: solo se sapremo perdonare e accogliere il perdono altrui potremo davvero credere che la morte non ha l'ultima parola.