giovedì 30 ottobre 2025

SANTI? NON PERFETTI, MA VERI.

SANTI? NON PERFETTI, MA VERI.

C’è qualcosa di scandaloso nel celebrare Ognissanti nel 2025? Una festa che parla di santità in un tempo in cui la parola “santo” suona fuori moda, se non ridicola. Viviamo immersi nella cultura dell’apparenza, della performance e del “tutto subito”. Eppure, oggi più che mai, il mondo ha fame di santi. Non di statue o icone da calendario, ma di uomini e donne vivi, veri, che hanno il coraggio di credere nella luce mentre tutti parlano solo del buio.

 Ognissanti non è la festa dei perfetti, ma dei guariti: di chi ha lasciato che Dio entrasse nelle proprie ferite e le trasformasse in sorgenti di bene. I santi non sono alieni, ma uomini e donne che hanno preso sul serio il Vangelo nel loro tempo, nonostante le contraddizioni. E allora, se questa festa ha ancora un senso, è perché ci sbatte in faccia una domanda scomoda: “Tu, oggi, vuoi essere santo?” Rispondi!

 La santità non è un lusso spirituale, ma una rivoluzione del quotidiano. È dire “no” all’indifferenza quando conviene non vedere. È scegliere la verità quando tutti barattano la coscienza con il consenso. È restare umani in un mondo che si vanta di essere “intelligente”, ma dimentica il cuore.

 Celebrando Ognissanti, la Chiesa non ci invita a guardare in alto, ma dentro: a scoprire che la santità non è lontana, ma possibile. Forse il santo che Dio sogna oggi non vive in un monastero, ma lavora in un call center, in un ospedale, in un’aula scolastica o tra i senzatetto delle nostre città. Forse il santo di oggi è chi resta fedele in un matrimonio difficile, chi perdona un torto che non meritava, chi non smette di credere nel bene anche quando il mondo gli ride in faccia.

 E poi c’è il legame invisibile, quello che la festa di Ognissanti ricorda con forza: la comunione dei santi. Noi non siamo soli. C’è una rete misteriosa che unisce vivi e defunti, santi conosciuti e sconosciuti, credenti e cercatori di senso. In un mondo che celebra l’individualismo, Ognissanti ci ricorda che siamo corpo, non isole. Che la nostra vita ha peso nel destino di altri. Che pregare per chi non c’è più significa credere che nulla e nessuno vada perduto.

 Ecco la provocazione: se i morti non contano, se i santi non servono, allora anche noi non contiamo. Perché la santità, come la memoria, è l’antidoto all’insignificanza. È dire che ogni vita, anche quella che sembra fallita, può brillare di una luce che non si spegne.

 Forse il vero miracolo di Ognissanti è questo: ricordarci che la santità non è una fuga dal mondo, ma un tuffo dentro la realtà, con gli occhi fissi al Cielo e i piedi ben piantati nella terra degli uomini.

 E tu, nel tuo piccolo, nel tuo oggi, vuoi davvero credere che la santità è ancora possibile?

 

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