CHI TACE SULLA LEGGE, CONDANNA BAMBINI E MADRI AL SILENZIO.
In Italia, nel 2025, continuano a verificarsi episodi che scandalizzerebbero chiunque abbia un briciolo di umanità. Bambini abbandonati nei cestini dell’immondizia, neonati di pochi giorni privati di ogni possibilità di vita, madri disperate che pensano di non avere scelta. Eppure, la legge prevede strumenti efficaci per evitare tragedie simili: il parto in anonimato, una possibilità concreta di salvare vite, proteggendo allo stesso tempo la madre. Eppure, a distanza di decenni, di questi strumenti quasi nessuno parla.
Concetta Cascioli, neonatologa per 40 anni al Policlinico Federico II di Napoli, oggi 76enne, non si dà pace. Racconta di bambini salvati, di madri aiutate, di procedure che funzionano, ma denuncia una verità scomoda: «Si fa molto poco», dice. Le donne, isolate, sole, prive di supporto, spesso ignorano che possono partorire in sicurezza, garantendo anonimato e tutela legale. Le informazioni non circolano, gli ospedali non sempre hanno protocolli chiari, e così, in pochi giorni, vite innocenti rischiano di essere spente per ignoranza e disinteresse.
Il parto in anonimato non è una novità del terzo millennio. Negli anni ’80, ricorda Cascioli, le madri in difficoltà — alcune affette da AIDS, altre sole e marginalizzate — potevano lasciare i bambini nei brefotrofi o nelle “ruote” degli ospedali, lasciando un segno, un oggetto personale, per poterli riconoscere in futuro. Quei bambini hanno avuto una seconda possibilità grazie a famiglie pronte ad accoglierli, a procedure veloci, a medici attenti. Oggi? Troppe donne restano invisibili, troppo spesso ignorate dal sistema, e i bambini ne pagano il prezzo.
È inaccettabile che, in un Paese moderno, l’ignoranza sulla legge diventi causa di morte o abbandono. Non parliamo di teoria: parliamo di vite concrete. Eppure, la risposta istituzionale è lenta, i servizi disorganizzati, la comunicazione assente. Cascioli denuncia con fermezza: non basta una legge se chi dovrebbe applicarla e diffonderla resta passivo. Non è solo un problema medico: è un problema di coscienza civile.
Ogni giorno, nella disperazione, madri e bambini rischiano. Ogni giorno, un’informazione mancata può diventare un dramma irreversibile. Il parto in anonimato non è una fantasia, è una rete di sicurezza che la società ha il dovere morale di far conoscere, promuovere, applicare. Non parliamo di casi isolati: la tragedia silenziosa esiste ancora. È ora che la legge diventi pratica quotidiana, che le Asl siano davvero vicine alle madri, che le informazioni raggiungano chi è in difficoltà. Perché ogni bambino salvato è una vittoria sulla violenza, sull’indifferenza e sulla solitudine.
La domanda che Cascioli lascia sospesa è provocatoria: «Dopo il parto, chi si prende cura di queste donne?» La risposta, drammaticamente semplice, mostra il nodo di tutto: nessuno, se non chi ha il coraggio di intervenire. In un mondo che non tutela i più deboli, la coscienza di ciascuno diventa l’ultima barriera tra la vita e la morte. La legge esiste, la possibilità c’è. Resta da chiedersi: chi avrà il coraggio di informare, di ascoltare, di agire?
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