lunedì 3 novembre 2025

03.11.2025 - Rm 11,29-36 - Lc 14,12-14 Non invitare i tuoi amici, ma poveri, storpi, zoppi e ciechi.

 

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 11,29-36

Fratelli, i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili! Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne il contraccambio?
Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
1. Paolo ci fa comprendere il piano di salvezza di Dio. IL RIFIUTO DI ISRAELE AD ACCOLGIERE IL MESSIA HA ACCELERATO L’EVANGELIZZAZIONE DEI PAGANI senza che Israele fosse escluso dalla salvezza. I DONI E LA CHIAMATA DI DIO SONO IRREVOCABILI! Il piano di salvezza di Dio È PER TUTTI, la sua MISERICORDIA è fonte di salvezza!

2. E conclude: “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti” Che significa? Significa che LA SCRITTURA DIMOSTRA CHE TUTTI SONO PECCATORI TUTTI SONO DISOBBEDIENTI, chi in un modo chi in un altro, chi prima chi poi, DIMOSTRA CHE TUTTI HANNO BISOGNO DI ESSERE SALVATI e DIO OFFRE LA SUA MISERICORDIA A TUTTI: agli ebrei, agli altri popoli e anche a noi. Deo gratias!

3. DINANZI AL MISTERO DELLA SALVEZZA offerto ad ogni uomo per la fede in Cristo Gesù, la mente credente si oscura, si eclissa, rimane senza pensiero. SI FERMA IN UNA SANTA CONTEMPLAZIONE ETERNA. Veramente, sempre il mistero ci sorpassa. A un Dio così va dato tutto l’onore e la gloria. NESSUN ALTRO È DEGNO DI RICEVERE GLORIA E POTENZA.

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+ Dal vangelo secondo Luca - Lc 14,12-14
In quel tempo, Gesù disse al capo dei farisei che l’aveva invitato:
«Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio.
Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».  
Gli antichi avevano il culto dell’ospitalità, ma Gesù va oltre e ci insegna quello della fraternità, che non accoglie solo simili che ci potranno contraccambiare, ma soprattutto chi ha più bisogno, chi non ci potrà restituire nulla: allora sarà l’amore del Padre a donarci tutto.
Si tratta di scegliere la gratuità invece del calcolo opportunistico che cerca di ottenere una ricompensa, che cerca l’interesse e che cerca di arricchirsi di più. Infatti i poveri, i semplici, quelli che non contano, non potranno mai ricambiare un invito a mensa.
Così Gesù dimostra la sua preferenza per i poveri e gli esclusi, che sono i privilegiati del Regno di Dio, e lancia il messaggio fondamentale del Vangelo che è servire il prossimo per amore di Dio.
Impariamo a chiederci sempre sinceramente se, quando facciamo del bene, lo facciamo per noi o per la maggior gloria di Dio.

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Queste parole di Gesù sono molto belle, suggestive, potenti; eppure, scartata l’ipotesi che si debbano prendere alla lettera, cosa ci vogliono esattamente dire?

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03.11 SAN MARTINO DE PORRES

SAN MARTINO DE PORRES (1579–1639)

San Martino de Porres fu un grande santo peruviano, esempio luminoso di umiltà, carità e amore universale. Nacque a Lima da una serva panamense di origine africana e da un nobile spagnolo che inizialmente non lo riconobbe come figlio a causa del colore della sua pelle. Solo in seguito, pentito, il padre si prese cura di lui e della sorella Giovanna.

 Fin da giovane Martino mostrò una profonda sensibilità spirituale. Dopo aver imparato il mestiere di barbiere e aver coltivato l’interesse per la medicina, a quindici anni si presentò al convento domenicano di Lima, dove fu accolto come “donato”, con il compito umile delle pulizie. Per questo viene spesso raffigurato con una scopa, simbolo della sua dedizione al servizio e della sua umiltà.

 La sua bontà, il suo spirito di sacrificio e la sua disponibilità verso tutti colpirono profondamente i superiori, che lo ammisero alla professione religiosa come frate converso. Da allora Martino visse con fervore la vita spirituale, dedicandosi alla preghiera, ai digiuni e all’adorazione del Santissimo Sacramento.

 Il Signore lo colmò di numerosi doni soprannaturali: estasi, bilocazioni, levitazioni, profezia e scienza infusa. Ma il segno più grande della sua santità fu la carità. Si prese cura dei poveri e dei malati nell’infermeria del convento, offrendo non solo cure materiali, ma anche conforto e speranza. Durante la peste che colpì Lima, non esitò a esporsi per assistere i confratelli e la popolazione, curando decine di persone con dedizione eroica.

 La sua fama di guaritore e consigliere saggio si diffuse in tutta Lima, attirando sia il popolo che personalità importanti. Fondò il collegio di Santa Croce per l’istruzione di orfani e mendicanti, un’opera innovativa e segno concreto della sua attenzione verso gli ultimi.

 San Martino de Porres morì il 3 novembre 1639, amato da tutti per la sua bontà e semplicità. La Chiesa lo venera come patrono dei barbieri, dei malati, degli spazzini e della giustizia sociale, riconoscendo in lui un modello di fraternità universale e di fede operosa.

 

Per noi oggi:

 La santità nasce dalle piccole cose. Martino non predicava dai pulpiti, ma serviva con una scopa in mano. Forse anche noi oggi cerchiamo troppo spesso la “visibilità” nelle opere buone, dimenticando che la vera grandezza cristiana si misura nella discrezione e nella fedeltà quotidiana.

 L’amore non conosce colore, ruolo o confine. In un mondo ancora segnato da discriminazioni, San Martino — figlio di una schiava e di un nobile — ci ricorda che davanti a Dio non contano le origini ma la capacità di amare tutti, specialmente gli esclusi. Quanto spazio diamo noi all’accoglienza e all’inclusione reale, non solo a parole?

 La carità vera costa. Martino non si è limitato alla compassione: ha condiviso la fatica, il dolore e la povertà dei fratelli. In un tempo in cui la solidarietà è spesso virtuale o di facciata, la sua vita ci provoca a sporcarci le mani per amore di Cristo e dei poveri concreti che ci stanno accanto.


San Martino de Porres, religioso dell’Ordine dei Predicatori: figlio di uno spagnolo e di una donna nera, fin dalla fanciullezza, sia pure tra le difficoltà derivanti dalla sua condizione di figlio illegittimo e di meticcio, apprese la professione di medico, che in seguito, diventato religioso, esercitò con abnegazione a Lima in Perù tra i poveri e, dedito a digiuni, alla penitenza e alla preghiera, condusse un’esistenza di semplicità e umiltà, irradiata dall’amore.

SOLO CHI GUARDA LA MORTE NEGLI OCCHI PUÒ PERMETTERSI DI VIVERE.

SOLO CHI GUARDA LA MORTE NEGLI OCCHI PUÒ PERMETTERSI DI VIVERE.

Ha ancora senso ricordare i morti in un mondo che finge di essere immortale? Viviamo in un tempo in cui la morte è bandita, sepolta sotto tonnellate di distrazioni, filtri Instagram e promesse di giovinezza eterna. Eppure ogni 2 novembre, la Chiesa osa ricordarci ciò che la società digitale rimuove con ossessiva frenesia: moriremo tutti. Ma non per disperarebensì per imparare a vivere davvero.

 La Commemorazione dei Defunti non è un rituale nostalgico, né una tradizione da “nonne con il rosario in mano”. È un atto rivoluzionario di verità. È il giorno in cui il cristiano si oppone al più grande inganno dell’Occidente contemporaneo: quello di credersi autosufficiente, eterno, senza bisogno di Dio né degli altri.

 Andare al cimitero il 2 novembre è un gesto controcultura. È dire: non tutto finisce qui, non siamo solo corpi da mantenere in forma, profili da aggiornare, performance da migliorare. È riconoscere che la vita ha un oltre — e che i nostri morti ci abitano ancora, ci accompagnano, ci attendono.

 Ma provate a parlarne oggi. Pronunciate la parola “morte” a una cena, tra amici o colleghi. Scatta il silenzio, la battuta ironica, la fuga nel cellulare. È il nostro nuovo tabù. Eppure, come diceva Benedetto XVI, «l’amore reclama l’eternità». Il cuore umano non si rassegna al nulla perché è fatto per qualcosa di più grande.

 La nostra civiltà, che si vanta di essere razionale, è in realtà terrorizzata dal finito. Per questo riempie il vuoto con surrogati: il culto dell’efficienza, la chirurgia estetica, la realtà virtuale, il sogno di “caricare la coscienza nel cloud”. Sogni di eternità senza resurrezione, senza anima, senza amore.

 E allora sì, commemorare i defunti oggi è un atto politico e spirituale insieme: significa resistere al narcisismo della modernità e dichiarare che la speranza non è un’illusione, ma una promessa. Significa ricordare che l’uomo non è un algoritmo, ma una creatura destinata alla comunione.

 Nel silenzio dei cimiteri, in quelle iscrizioni consumate dal tempo, c’è più verità che in mille post motivazionali: “dietro il presente non c’è il nulla”.

E forse, se tornassimo a parlare con i nostri morti, scopriremmo che non sono loro i veri assenti. Siamo noi, troppo distratti, a non essere più davvero presenti.

 In definitiva ricordare i defunti è ricordare che la vita non finisce, ma si compie nell’amore di Dio. Solo chi spera oltre la morte può vivere davvero il presente.

 

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domenica 2 novembre 2025

02.11.2025 - Gb 19,1.23-27 - Rm 5,5-11 - Gv 6,37-40 - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI (Messa I)

Domenica 02 novembre 2025

Dal libro di Giobbe - Gb 19,1.23-27

Rispondendo Giobbe prese a dire:
«Oh, se le mie parole si scrivessero,
se si fissassero in un libro,
fossero impresse con stilo di ferro e con piombo,
per sempre s’incidessero sulla roccia!
Io so che il mio redentore è vivo
e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!
Dopo che questa mia pelle sarà strappata via,
senza la mia carne, vedrò Dio.
Io lo vedrò, io stesso,
i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
1. Giobbe, uomo giusto, si incontra con tre amici che lo accusano di ESSERE PECCATORE E DI MERITARSI LA DISGRAZIA che gli è capitata. Chiede a Dio che lo difenda dall’immagine che i suoi amici hanno di Dio. GIOBBE NON PUÒ ACCETTARE UN DIO CRUDELE E INGIUSTO, LONTANO.
2. Giobbe ACCETTA LA SOFFERENZA E NON ABBANDONA LA FEDE. Giobbe sa che il suo redentore è vivo e che vedrà Dio. Giobbe mostra il suo attaccamento a Dio NONOSTANTE TUTTO, fa la sua professione di fede nella signoria ultima di Dio. 
3. “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio”. A prescindere dalla carne, indipendentemente dalla condizione di salute, dalla mia condizione di benessere o di malessere, comunque vada IO VEDRÒ DIO. Lo vedrò non da straniero e non sarò uno straniero per Lui. GIOBBE CI DICE CHE L’ULTIMA PAROLA È DI DIO E AVREMO LA POSSIBILITÀ DI INCONTRARLO. Questo è anche il nostro desiderio e la nostra speranza.

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Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 5,5-11

Fratelli, la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

1. Paolo ci ricorda che l'uomo non può rifiutare di sperare, anche se ultimamente sono troppi quelli che gli vogliono togliere la speranza. Pertanto ci rivolge L'INVITO A RESISTERE ALLE ANGOSCE ALLE INCERTEZZE perché DIO ci ama per sempre. Coraggio!

2. Paolo ci parla dello SPIRITO CHE SI RIVERSA NEL CUORE DI OGNI UOMO e, come acqua che disseta per sempre, calma l'ansia del cercare e definisce in SPERANZA CHE NON DELUDE ogni desiderio di tutti quei cuori ora abitati dall'amore di Dio. Dio, Cristo e lo Spirito Santo UNITI con il nostro cuore, nel nostro cuore. CUSTODIAMO LO SPIRITO DI DIO IN NOI…

3. Il FONDAMENTO DELLA SPERANZA CRISTIANA sta nella prova di amore che Cristo ci ha dato sedendo a tavola con i peccatori, facendo comunione con loro/noi e, soprattutto, morendo in croce. E noi ci GLORIAMO di Cristo e rendiamo GRAZIE nel nostro vivere…

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+ Dal vangelo secondo Giovanni - Gv 6,37-40
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno.
Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

 

1. “Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori”: parole che frantumano ogni paura di rifiuto. NESSUNO È ESCLUSO DAL CUORE DI CRISTO. Gesù non mette condizioni all’accoglienza. IL SUO AMORE È PIÙ GRANDE delle nostre ferite, delle nostre colpe e dei nostri dubbi.

2. GESÙ NON PERDE NESSUNO: non siamo oggetti smarriti, ma tesori custoditi. LA VOLONTÀ DEL PADRE È LA CUSTODIA, NON LA CONDANNA. Dio non si stanca mai di cercarci e salvarci: siamo troppo importanti per essere lasciati andare.

3. LA VITA ETERNA COMINCIA ORA. Credere in Gesù non è solo garanzia per “l’ultimo giorno”, ma trasforma già il presente. La fede apre gli occhi: CHI VEDE IL FIGLIO, VEDE LA VITA. Non si tratta solo di sopravvivere, ma di VIVERE DAVVERO – DA RISORTI, GIÀ ADESSO.

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MI ABBANDONO

Nella morte si può solo abbandonarsi completamente al Padre, nelle Sue mani, e credere nella Resurrezione di Gesù. La morte ci obbliga a fidarci totalmente di Dio. Desideriamo essere con Gesù e questo nostro desiderio lo esprimiamo a occhi chiusi, alla cieca, mettendoci totalmente nelle sue mani. Pregando l'Ave Maria oggi dirò con maggior consapevolezza "Adesso e nell'ora della nostra morte". La Madre verrà senz'altro ad aiutarci...

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LECTIO DIVINA - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

OMELIA -  COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

 
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Gv 5,21-29 - RITO AMBROSIANO - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

 RITO AMBROSIANO

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI
DOMENICA, 02 Novembre 2025
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni - Gv 5,21-29
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna».

1. GESÙ NON È SOLO UN MEDIATORE: È COLUI CHE DÀ LA VITA E GIUDICA. Dunque non possiamo delegare il nostro concetto di giusto o sbagliato alla società o alla legge: IL VERO GIUDIZIO APPARTIENE A LUI, e chi ignora il Figlio ignora il Padre.

2. La vita eterna non si conquista, non si merita ma la si riceve. Non basta “fare il bene” o rispettare le regole: LA VITA ETERNA NASCE DALL’ASCOLTO E DALLA FEDE IN GESÙ. In fondo lo sappiamo: il nostro impegno morale, da solo, non ci salva.

3. Ed ecco la novità: Risurrezione per tutti, ma con esiti diversi. Dio promette una voce che scuote la tomba, ma non tutti risorgono allo stesso modo: BENE E MALE HANNO CONSEGUENZE. Dunque non possiamo vivere come se tutto fosse neutro; le nostre azioni contano, MA LA NOSTRA RELAZIONE CON CRISTO È CIÒ CHE DECIDE IL DESTINO ULTIMO.

02.11 COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

 

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI.

 Il 2 novembre la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti, cioè coloro che sono morti in grazia di Dio ma non ancora pienamente purificati. È una giornata di profonda comunione spirituale che segue la solennità di Tutti i Santi, e che ci ricorda il legame invisibile ma reale tra i battezzati sulla terra, le anime del Purgatorio e i santi del Paradiso, tutti uniti nel Corpo Mistico di Cristo.

 La Chiesa invita in questo giorno a offrire Messe, preghiere, elemosine e opere di penitenza per i defunti, affinché possano purificarsi e giungere alla visione beatifica di Dio. Tale pratica ha radici bibliche, come testimonia l’episodio di Giuda Maccabeo che fece offrire un sacrificio per i soldati caduti, «perché fossero assolti dal peccato» (2 Mac 12,38-45). È segno della fede nello stato intermedio di purificazione che la tradizione cristiana chiama Purgatorio.

 Il peccato, infatti, comporta una duplice conseguenza: la colpa, rimessa nella Confessione, e la pena temporale, che richiede espiazione e purificazione. Le anime del Purgatorio, ormai certe della salvezza, soffrono solo la nostalgia di Dio e desiderano ardentemente unirsi a Lui. Le opere di carità e di preghiera dei vivi possono abbreviare le loro pene, perché nella comunione dei santi il bene di uno giova a tutti.

 In particolare, dall’1 all’8 novembre, la Chiesa concede l’indulgenza plenaria per un’anima del Purgatorio a chi visita un cimitero, prega per i defunti e soddisfa le tre condizioni: Confessione, Comunione e preghiera secondo le intenzioni del Papa.

 La commemorazione collettiva dei defunti ha origini antichissime, già testimoniata da sant’Agostino. Tuttavia, fu sant’Odilone di Cluny nel 998 a istituire la celebrazione del 2 novembre come giorno specifico di suffragio, tradizione che poi si estese a tutta la Chiesa.

 La Commemorazione dei fedeli defunti è quindi un giorno di speranza e di carità, in cui il cristiano contempla il mistero della morte illuminato dalla risurrezione di Cristo e rinnova l’amore verso i propri cari, affidandoli alla misericordia infinita di Dio.

 

Per noi oggi:

 Ricordare i morti ci provoca a vivere da risorti. In un mondo che rimuove la morte o la traveste da festa, la Chiesa ci invita a guardarla in faccia, non per paura ma per speranza: se la vita finisce solo in Dio, allora ogni giorno è un passo verso l’eternità, non un conto alla rovescia verso il nulla.

 Pregare per i defunti è un atto rivoluzionario di amore gratuito. È amare chi non può più restituirci nulla, in un tempo in cui ogni relazione è calcolata sul dare e avere. Pregare per loro significa credere che la comunione vince la morte, che il bene continua oltre la tomba e che nessuno è mai davvero perduto nel cuore di Dio.

 Il Purgatorio ci ricorda che il Paradiso non è “a buon mercato”. La santità costa purificazione: se oggi tutto ci invita a evitare la fatica, la fede ci dice che nulla di impuro può entrare nella gloria. Il cammino verso Dio passa dal fuoco dell’amore che brucia l’egoismo — ed è un fuoco che dobbiamo iniziare ad accendere già qui, nelle nostre scelte quotidiane.


Commemorazione di tutti i fedeli defunti, nella quale la santa Madre Chiesa, già sollecita nel celebrare con le dovute lodi tutti i suoi figli che si allietano in cielo, si dà cura di intercedere presso Dio per le anime di tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e si sono addormentati nella speranza della resurrezione e per tutti coloro di cui, dall’inizio del mondo, solo Dio ha conosciuto la fede, perché purificati da ogni macchia di peccato, entrati nella comunione della vita celeste, godano della visione della beatitudine eterna.



sabato 1 novembre 2025

Ap 7,2-4.9-14 - 1Gv 3,1-3 - Mt 5,1-12a - TUTTI I SANTI

TUTTI I SANTI
Sabato, 01 Novembre 2025
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo - Ap 7,2-4.9-14
Io, Giovanni, vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: «Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio».
E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele.
Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».
E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen».
Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello».

1. Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, prima numerabile 144.000, poi immensa che PROVIENE DA TUTTI I TEMPI E TUTTI I LUOGHI. Sono i salvati, tutti i redenti (i Santi). Tutti chiamati alla santità!
2. Sono VESTITI DI BIANCO, partecipano della vita di Dio e hanno la PALMA NELLE MANI, segno di vittoria e di fecondità di vita. AMMIRIAMOLI!
3. Provengono dalla GRANDE TRIBOLAZIONE (dalla passione di Cristo): è il sangue dell'Agnello, e il candore delle vesti è il frutto della PARTECIPAZIONE alla passione di Gesù. Questi sono i SANTI i REDENTI… Coraggio!

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Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo - 1Gv 3,1-3
Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.
1. C’è una tensione tra l'oggi e il futuro dei figli di Dio. SIAMO GIÀ FIGLI MA CIÒ CHE SAREMO NON È STATO ANCORA RIVELATO. Ma quando vedremo Dio faccia a faccia, saremo simili a Lui, ricolmi di gloria e di felicità. PER ORA VIVIAMO NELLA SPERANZA, nell’attesa di una pienezza che è ancora tutta da ricevere.
2. «Chiunque ha questa speranza in lui, PURIFICA SÉ STESSO, come egli è puro» Non accontentiamoci di una vita mediocre, lasciamoci purificare da Cristo, dalla sua Parola. SIAMO CERTI DI FAR PARTE DI UNA CHIESA DI PERSONE BELLE, REDENTE DA CRISTO.
3. I Santi ci dicono che LA REDENZIONE È EFFICACIE, C’È SALVEZZA! I Santi ci dicono che il meglio deve ancora avvenire, la luce e la vita l’abbiamo davanti a noi! LA SANTITÀ È IL NOSTRO DESTINO!

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+ Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 5,1-12a

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

1. I Santi sono persone concrete che abitano in vari luoghi. Santo significa "RITAGLIATO FUORI" rispetto la moltitudine delle persone. È colui che ha FATTO UNA SCELTA di vita che lo qualifica. FAI LA TUA SCELTA e CONFERMALA OGNI GIORNO...

2. I Santi sono per noi dei MODELLI da imitare. Guardando a loro, noi comprendiamo come deve essere vissuto il Vangelo. LEGGIAMO QUALCHE VITA DEI SANTI...

3. Santi NON si nasce, MA si diventa. ESSI SONO stati "POVERI IN SPIRITO", ovvero sono stati staccati dai beni terreni e hanno rivolto il loro cuore unicamente al Signore. ESSI "HANNO PIANTO E HANNO SOFFERTO" per il Regno dei cieli, sono stati "MITI DI CUORE", hanno avuto "FAME E SETE DELLA GIUSTIZIA", ovvero hanno avuto un vivo desiderio di Dio, sono stati "MISERICORDIOSI" e "PURI DI CUORE", "OPERATORI DI PACE" e "PERSEGUITATI PER LA GIUSTIZIA". In poche parole, ESSI hanno vissuto la vita di Gesù. BUON CAMMINO DI SANTITÀ'.. CON CORAGGIO...

BUONA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI…

SANTITÀ

"La casa di Dio è una casa di uomini, non di eroi". Un eroe dà l'illusione di superare l'umanità, mentre il santo si sforza di realizzarla nel miglior modo possibile. In che modo? Vivendo le Beatitudini secondo la capacità di ognuno. Le Beatitudini sono un impegno preciso per orientare la vita verso la perfezione, sono la realizzazione di un mondo migliore. Invochiamo l'intercessione di Tutti i santi, perché sappiamo riscoprire la nostra vocazione alla santità.

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Se pensiamo ai santi come a “superuomini” o super-eroi, ci possiamo scoraggiare. Se, invece, pensiamo ai santi come persone che non sono nate perfette; che prima di raggiungere la gloria del cielo, hanno vissuto una vita normale, allora siamo incoraggiati ad imitarli. Se ci sono riusciti loro, possiamo farcela anche noi. Dio non ha bisogno delle nostre opere ma solamente del nostro amore.

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La ragione per cui non siamo felici come i santi è che non abbiamo nessuna voglia di essere santi! Per questo Martin Buber disse: «L’orrore del nostro mondo è radicato nella sua resistenza all’ingresso della santità nella vita vissuta». Se non ci accontentiamo di una vita banale; se non vivacchiamo alla giornata. Dove c’è un santo la vita diventa più viva, cioè si moltiplica perché fa maturare la propria originalità.

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LECTIO DIVINA – TUTTI I SANTI

 

OMELIA – TUTTI I SANTI  

 

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01.11 TUTTI I SANTI

TUTTI I SANTI

 La solennità di Tutti i Santi, celebrata il primo novembre, è una delle feste più antiche e universali della Chiesa, nata per onorare tutti i santi, noti e sconosciuti, «uniti in Cristo nella gloria», come ricorda il Martirologio Romano. In questo giorno, la Chiesa pellegrina sulla terra si unisce a quella trionfante del cielo in un unico canto di lode, celebrando la vittoria dei figli di Dio che hanno vissuto la fede fino in fondo e ora partecipano della gloria eterna.

 La festa mette in luce il mistero della comunione dei santi, cioè il legame profondo che unisce tutti i credenti – vivi e defunti – in Cristo. Come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, questa comunione fa sì che i santi, già presso Dio, continuino a intercedere per noi, sostenendo il cammino dei fedeli ancora in lotta. «La loro intercessione è il più alto servizio che rendono al disegno di Dio»: per questo la Chiesa invita a pregare i santi, perché la loro preghiera rafforzi la nostra fede e illumini il mondo.

 Le origini della festa risalgono ai primi secoli del cristianesimo, quando i fedeli commemoravano la morte dei martiri nei luoghi del loro sacrificio. Già nel quarto secolo, come testimoniato da san Basilio, le Chiese iniziarono a scambiarsi reliquie e a celebrare congiuntamente i martiri. Con il moltiplicarsi delle persecuzioni, soprattutto sotto Diocleziano, divenne impossibile dedicare un giorno a ciascun martire, e nacque così una memoria collettiva. In Oriente si celebrava la prima domenica dopo Pentecoste o il 13 maggio; in Occidente, nel 609, il Pantheon fu consacrato da papa Bonifacio IV come Santa Maria ad Martyres. Fu però Gregorio quarto, nell’835, a fissare definitivamente la data al primo novembre, dandole il significato universale che conserva ancora oggi.

 La festa di Tutti i Santi è dunque un inno alla speranza e alla vocazione universale alla santità: ci ricorda che la santità non è privilegio di pochi, ma chiamata per tutti. È anche un invito a contrapporre alla cultura superficiale di Halloween la luce della comunione, della gioia e della vita eterna che i santi testimoniano.

 In loro la Chiesa riconosce il riflesso della gloria divina e il destino a cui ogni uomo è chiamato: diventare santo per partecipare alla gioia del Cielo.

 

Per noi oggi:

 La santità non è un premio per pochi, ma un dovere per tutti. Se la festa di Tutti i Santi celebra milioni di volti sconosciuti, allora non possiamo più pensare che la santità sia “per altri”: ogni giorno in cui scegliamo la verità, la misericordia, la purezza del cuore, diventiamo parte viva di quella moltitudine. O non siamo noi stessi a rinunciare alla chiamata di Dio?

 Essere santi oggi significa andare controcorrente. In un mondo che esalta successo, apparenza e potere, i santi gridano con la loro vita che la felicità nasce solo dal dono di sé. Se non siamo disposti a “perdere” qualcosa per amore, possiamo ancora dirci cristiani?

 Halloween o Ognissanti: quale festa scegliamo davvero? Mentre la cultura celebra il macabro e la paura, la Chiesa propone la luce della vita eterna. Non è forse arrivato il momento di smettere di imitare la notte e tornare a testimoniare la luce? La vera rivoluzione cristiana oggi è credere che la gioia dei santi è anche possibile per noi.


Solennità di tutti i Santi uniti con Cristo nella gloria: oggi, in un unico giubilo di festa la Chiesa ancora pellegrina sulla terra venera la memoria di coloro della cui compagnia esulta il cielo, per essere incitata dal loro esempio, allietata dalla loro protezione e coronata dalla loro vittoria davanti alla maestà divina nei secoli eterni.



venerdì 31 ottobre 2025

31.10.2025 - Rm 9,1-5 - Lc 14,1-6 Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 9,1-5

Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
1. C’è in Paolo una grande tristezza, una continua sofferenza che lo coinvolge direttamente come ebreo: PERCHÉ GLI EBREI NON HANNO ACCETTATO GESÙ CRISTO E IL SUO VANGELO?

2. Paolo afferma che vorrebbe essere lui stesso “ANATEMA” a vantaggio dei suoi fratelli. IL SUO DOLORE, testimoniato dallo Spirito Santo, È PROPRIO UN’OFFERTA DELLA SUA VITA per la salvezza dei suoi fratelli.

3. Il loro rifiuto nei confronti del Figlio di Dio NON CANCELLA NULLA DELLA LORO ELEZIONE e quindi della loro posizione e missione nei confronti di tutti i popoli del mondo. Da loro proviene Cristo secondo la carne. “Egli è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”. GESÙ È DIO…

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+ Dal Vangelo secondo Luca - Lc 14,1-6

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Gesù non cambia la legge del sabato, ma ne denuncia la formalità e l’improprio appesantimento. Per questo, non solo Egli custodisce il precetto, ma anche lo illumina, collegandolo al principio fondamentale dell’etica cristiana, che è la carità.
È su questa strada "dall’amore alla giustizia", che dobbiamo camminare perché porta a Dio. Invece, l’altra strada, quella di essere attaccati alla legge, alle regole, dà sicurezza ma porta alla chiusura, porta all’egoismo.
Entriamo nella logica di Dio, liberiamoci dalla religiosità e dal formalismo. Facciamoci vicini a chi ha bisogno proprio come Gesù col malato di idropisia. Ricordiamoci sempre che il bene va fatto: il bene è la legge suprema che supera l’osservanza formale del sabato, anzi ne dà  il senso vero.

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Gesù fa domande, prende lui l’iniziativa, pone questioni, inquieta. E spesso ci lascia senza parole, incapaci di rispondere. Forse perché amiamo le discussioni dialettiche che rimangono in superficie?

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31.10 SANT'ALFONSO RODRIGUEZ

SAN ALFONSO RODRÍGUEZ (1531–1617)

 Nato a Segovia in Spagna da una famiglia di mercanti di lana, Alfonso Rodríguez mostrò fin da giovane un forte desiderio di consacrarsi a Dio. Studiò presso i gesuiti di Alcalá, ma la morte del padre lo costrinse a tornare a casa per occuparsi della bottega di famiglia. Sposato e padre di due figli, conobbe presto il dolore più profondo: la morte della moglie e dei bambini. Questo susseguirsi di prove lo spinse a cercare rifugio solo in Dio. Ceduti tutti i beni al fratello, tentò di entrare nella Compagnia di Gesù, ma la salute fragile e la scarsa preparazione lo resero inadatto al sacerdozio. Tuttavia, i gesuiti ne riconobbero l’umiltà e la profondità spirituale, accogliendolo come fratello coadiutore.

 Fu mandato a Palma di Maiorca, nel collegio di Monte Sion, dove per oltre trent’anni svolse con fedeltà il semplice incarico di portinaio. In quel ruolo, apparentemente umile, Alfonso trovò la sua strada verso la santità. Ogni persona che bussava alla porta trovava in lui accoglienza, consiglio, preghiera e conforto. La sua bontà semplice, unita a una severa disciplina interiore, trasformò la portineria in un luogo di grazia.

 Dio gli concesse doni straordinari: visioni, preveggenza, miracoli e una profonda vita mistica. Alfonso fu anche guida spirituale dei novizi gesuiti, tra cui san Pietro Claver, futuro apostolo degli schiavi, al quale predisse la missione. La sua spiritualità era centrata sull’amore verso la Vergine Maria — che invocava recitando ogni giorno il Rosario — e sulla devozione al proprio angelo custode, che più volte sentì vicino in modo tangibile.

 Celebre un episodio in cui il demonio tentò di soffocarlo con un fetore pestilenziale: l’angelo lo salvò fisicamente e spiritualmente. Da quell’esperienza Alfonso trasse un insegnamento potente: così come un’aria avvelenata può togliere la vita al corpo, il peccato priva l’anima della grazia e la conduce alla morte eterna.

 San Alfonso Rodríguez morì a Palma di Maiorca nel 1617. Canonizzato nel 1888, è patrono dei portieri e degli uscieri, simbolo luminoso di come anche il servizio più semplice, vissuto con amore e umiltà, possa diventare via di santità.

 

Per noi oggi:

 La grandezza non è nel ruolo, ma nell’amore con cui lo svolgi – San Alfonso non era un leader, un docente o un missionario famoso, ma un portinaio. Eppure la sua santità dimostra che il vero valore non è in ciò che facciamo agli occhi del mondo, ma in come lo facciamo: la gloria spesso si nasconde nelle azioni più umili.

 Il dolore può essere il trampolino verso la spiritualità – La perdita della famiglia avrebbe potuto spezzare Alfonso, e invece lo trasformò. La provocazione è chiara: forse ciò che evitiamo, ciò che temiamo o che consideriamo ingiusto, può diventare la porta verso la nostra più profonda crescita interiore.

 Il potere è sopravvalutato, la fedeltà è sottovalutata – Nel mondo moderno siamo ossessionati da ambizione, status e controllo. Alfonso insegna che la vera forza sta nella fedeltà quotidiana, nel vivere con integrità anche nei ruoli “invisibili”. Forse ciò che cambia il mondo non sono i grandi gesti, ma la coerenza silenziosa dei nostri piccoli atti.


Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. 
 Nell’isola di Palma di Maiorca, sant’Alfonso Rodríguez, che, perduti la moglie, i figli e tutti i suoi beni, fu accolto come religioso nella Compagnia di Gesù, dove svolse per molti anni la mansione di portinaio nel Collegio, divenendo un esempio di umiltà, obbedienza e costanza nel sacrificio.

giovedì 30 ottobre 2025

30.10.2025 - Rm 8,31b-39 - Lc 13,31-35 - Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 8,31b-39

Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
 Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto:
«Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello».
 Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
1. DIO CHE HA DATO SUO FIGLIO PER NOI È LO STESSO CHE CI SOSTIENE OGNI GIORNO. La vera domanda non è “chi è contro di me?”, ma “PERCHÉ DUBITO ANCORA DELL’AMORE CHE MI SOSTIENE?”.

2. NULLA CI SEPARA DA CRISTO… O SIAMO NOI A SEPARARCI DA LUI? Quante volte siamo noi a costruire muri interiori, a lasciarci travolgere dalla paura o dalla colpa? DIO NON SI ALLONTANA MAI, ma siamo noi a fuggire nel momento della prova. Ma dove vogliamo andare?

3. “NOI SIAMO PIÙ CHE VINCITORI” – ma lo crediamo davvero? Questa non è una frase motivazionale: è un'identità. Vivere da “più che vincitori” significa affrontare anche il dolore e la sconfitta con la certezza che l’Amore ha già vinto. LA FEDE CRISTIANA NON È SOPRAVVIVENZA: È VITTORIA NELLA DEBOLEZZA.

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 Dal vangelo secondo Luca - Lc 13,31-35
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». 

Gesù dimostra una straordinaria determinazione di fronte alla minaccia di Erode, continuando la sua missione di guarigione e liberazione senza paura. Egli risponde ai farisei chiamando Erode "volpe", sottolineando la sua astuzia e malevolenza, ma afferma chiaramente che deve proseguire il suo cammino, consapevole del suo destino a Gerusalemme. Gesù lamenta la storica resistenza di Gerusalemme ai profeti, esprimendo il suo desiderio di proteggere i suoi abitanti come una chioccia raccoglie i suoi pulcini, ma riconoscendo il loro rifiuto costante. Questo rifiuto porta alla profezia che Gerusalemme sarà abbandonata fino a quando non riconoscerà il Messia. Conclude annunciando che la città non lo vedrà più fino a quando non dirà: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore", evidenziando sia il giudizio imminente che la speranza di una futura riconciliazione. Gesù è la nostra speranza!

 

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