SANTA ELISABETTA D’UNGHERIA (1207-1231), PRINCIPESSA DELLA CARITÀ
Elisabetta nacque a Bratislava da Andrea II d’Ungheria e Gertrude di Merano, discendente di Carlo Magno. Promessa sposa a Ludovico di Turingia, sposò a 14 anni e divenne madre a 15. Sin da giovane mostrò profonda spiritualità e carità, rifiutando le ricchezze e dedicandosi ai poveri, ai malati e agli emarginati. Un episodio celebre della sua vita racconta che, donando del pane ai poveri, esso si trasformò in rose davanti agli occhi del marito, simbolo della sua santità e del miracolo della carità.
Elisabetta fu profondamente influenzata dalla spiritualità francescana, accogliendo i frati minori e sostenendo opere caritative, inclusa l’assistenza ai lebbrosi e la fondazione di un lebbrosario. Durante l’assenza del marito, impegnato in crociata, amministrò i feudi con giustizia, distribuendo cibo e soccorso ai bisognosi anche in tempi di carestia e malattie. Dopo la morte del marito nel 1227, mantenne il voto di castità e si dedicò completamente agli ultimi, visitando personalmente i malati e gestendo opere di beneficenza.
Nel 1228 fondò l’ospedale francescano di Marburgo, dove si prese cura dei poveri fino alla sua morte il 17 novembre 1231. Prima di spirare, dispose che tutti i suoi beni fossero distribuiti ai bisognosi, eccetto una tunica semplice con cui fu sepolta. La sua vita esemplare la rese oggetto di grande devozione popolare e la canonizzazione fu rapida. Elisabetta è patrona dell’Ordine francescano secolare, dei malati, delle opere caritative e dei panettieri. La sua tomba a Marburgo divenne meta di pellegrinaggi, simbolo della santità incarnata nella carità e nella povertà evangelica.
Per noi oggi:
Quanto siamo disposti a condividere davvero?
Elisabetta donava tutto ciò che aveva, perfino il suo vestiario e i beni personali. Oggi, nella società dell’accumulo e dell’apparenza, quanto siamo capaci di “spogliare” noi stessi per chi è nel bisogno, senza cercare riconoscimenti?
Il potere serve o ostacola la carità?
Principessa e reggente temporanea, Elisabetta usava autorità e ricchezze per servire, non per dominare. Noi, con le risorse e le responsabilità che abbiamo, le mettiamo al servizio degli altri o solo dei nostri interessi?
La santità è pratica quotidiana o ideale lontano?
La vita di Elisabetta dimostra che la santità non è nelle grandi parole, ma negli atti concreti di amore: visitare malati, dare da mangiare ai poveri, abbracciare chi è respinto. Oggi, quante delle nostre “buone intenzioni” restano astratte e quante diventano azioni reali?
Memoria di santa Elisabetta di Ungheria, che, ancora fanciulla, fu data in sposa a Ludovico, conte di Turingia, al quale diede tre figli; rimasta vedova, dopo aver sostenuto con fortezza d’animo gravi tribolazioni, dedita già da tempo alla meditazione delle realtà celesti, si ritirò a Marburg in Germania in un ospedale da lei fondato, abbracciando la povertà e adoperandosi nella cura degli infermi e dei poveri fino all’ultimo respiro esalato all’età di venticinque anni.
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