giovedì 12 giugno 2025

LIBERTÀ O ILLUSIONE?

LIBERTÀ O ILLUSIONE?

Viviamo in una società che esalta l’autonomia come valore assoluto. L’ideale dell’individuo indipendente, autosufficiente, padrone del proprio destino è diventato uno degli standard più celebrati del nostro tempo. In questo scenario, la dipendenza – in ogni sua forma – viene spesso raccontata come qualcosa da cui fuggire, un segno di debolezza, una catena da spezzare.

 Eppure, se ci fermiamo un attimo a guardare con onestà, scopriamo che la realtà è ben diversa. Siamo tutti interdipendenti. Dipendiamo gli uni dagli altri, dalle strutture che ci circondano, dai servizi che rendono possibile la nostra quotidianità, perfino dalla salute del nostro corpo, che non possiamo mai dare per scontata. È una verità tanto semplice quanto trascurata.

 In questo contesto, la riflessione proposta da Raffaella Frullone assume una forza provocatoria: e se la vera schiavitù oggi non fosse più quella di dipendere da un marito, ma piuttosto quella, silenziosa e acclamata, di dipendere dal lavoro?

 

La retorica dell’indipendenza

 

Per decenni si è lottato per garantire alle donne la possibilità di lavorare, di accedere a spazi di autonomia economica, di scegliere il proprio destino professionale. E questa conquista va riconosciuta e rispettata. Ma oggi, in nome di quella stessa libertà, molte donne si ritrovano imprigionate in ritmi di lavoro disumani, incasellate in carriere che spesso chiedono molto di più di quanto restituiscano.

 Fare la pendolare per ore, lavorare nei weekend, accettare salari bassi, affrontare lo stress, rinunciare al tempo per sé e per la propria famiglia: è davvero questa la nuova forma di libertà? O stiamo semplicemente sostituendo un modello di dipendenza con un altro, più subdolo e socialmente accettato?

 Il lavoro, da strumento di realizzazione, è diventato per molti un fine totalizzante. E per le donne, il prezzo è spesso altissimo: sensi di colpa, frustrazione, fatica. Perché se da una parte devono dimostrare di “essere all’altezza” nel mondo del lavoro, dall’altra non vengono mai completamente sollevate dalle aspettative legate alla casa, ai figli, alla cura.

 

La dipendenza che nutre

 

E allora, cosa significa davvero dipendere? È possibile immaginare una dipendenza che non sia umiliante, ma che invece sia scelta consapevole, fiducia reciproca, alleanza? In un tempo che celebra l’individualismo, forse è proprio questo tipo di dipendenza – quella che si costruisce nella relazione – a essere la più rivoluzionaria.

 Dipendere dal proprio marito non dovrebbe evocare immagini di sottomissione o annullamento, ma piuttosto il senso profondo di un legame in cui si sceglie di contare sull’altro. È la consapevolezza che nessuna costruzione di vita duratura può fondarsi sull’autosufficienza, ma solo sulla comunione.

 Una donna che sceglie di affidarsi al marito, che si dedica alla casa, ai figli, al ritmo della famiglia, non è una donna meno libera. È una donna che ha fatto una scelta diversa, e come tale merita rispetto, non commiserazione. Così come merita rispetto una donna che lavora fuori casa, con passione e dedizione. Il punto non è “lavorare o no”, ma poter scegliere senza essere schiacciate da una narrazione univoca.

 

Contro il mito del “farcela da soli”

 

L’idea che la vera forza stia nel “farsi da sé” è un mito pericoloso. Nessuno si fa da solo. Nessuno è libero da tutto. La nostra vita è una rete di legami, di reciproche influenze, di collaborazioni invisibili. Accettare la nostra dipendenza è accettare la nostra umanità.

 Certo, esistono forme di dipendenza tossica: relazioni violente, manipolatorie, squilibrate. Ma confondere queste situazioni estreme con la bellezza di un rapporto fondato sull’aiuto reciproco è un errore grossolano. Il problema non è la dipendenza in sé, ma la qualità della relazione da cui si dipende.

 In un mondo che ci spinge a competere, forse dovremmo riscoprire il valore della cooperazione. In una società che ci vuole performanti, forse dovremmo riappropriarci della lentezza. In una cultura che idolatra l’autonomia, forse dovremmo avere il coraggio di dire: “Io ho bisogno degli altri. E va bene così”.


📲 I MIEI SOCIAL:

Nessun commento:

Posta un commento