martedì 8 luglio 2025

SIAMO DAVVERO PIÙ CONNESSI O SEMPRE PIÙ SOLI?

SIAMO DAVVERO PIÙ CONNESSI O SEMPRE PIÙ SOLI?

Viviamo un tempo curioso, un paradosso che ci lascia spiazzati. Siamo “sempre” connessi, “sempre” online, “sempre” aggiornati… eppure, soli. Sì, incredibilmente soli. Basta guardarsi intorno: giovani che scivolano tra una storia su Instagram e un TikTok, anziani che passano le giornate davanti alla televisione o fissando il telefono, adulti che rispondono a email e messaggi fino a notte fonda, ma che non hanno nessuno con cui fare una vera chiacchierata davanti a un caffè. La solitudine dilaga, invisibile e subdola, come un veleno lento. E non è solo un’impressione: i dati parlano chiaro. Secondo uno studio di Meta-Gallup, una persona su quattro nel mondo si sente sola, e non stiamo parlando di un fastidio passeggero: stiamo parlando di oltre un miliardo di esseri umani intrappolati nella loro solitudine, pur vivendo in un’epoca di iperconnessione.

 E allora, a cosa serve tutto questo? A cosa servono le migliaia di "amici" sui social, i like, le reazioni, i cuoricini, se poi ci sentiamo vuoti dentro? Le piattaforme ci promettono di avvicinarci, ma in realtà ci vendono solo una parvenza di connessione. Scrolliamo, leggiamo, commentiamo, ma alla fine rimaniamo soli, in stanze silenziose, con il cuore spento e il cervello bombardato da stimoli inutili. Non siamo più in grado di sostenere una conversazione vera, profonda, quella in cui si guarda negli occhi e si sente la voce tremare. Preferiamo il messaggio veloce, l’audio rapido, il commento superficiale. Ma questa non è relazione, questa è anestesia. È come ingoiare zucchero per placare la fame: momentaneamente ti senti meglio, ma alla lunga ti svuota. I social sono finestre sul mondo, sì, ma spesso sono anche muri invisibili che ci separano dalla vita vera, dalle emozioni autentiche. Guardiamo le vite perfette degli altri e ci sentiamo piccoli, inadeguati, fuori posto. Invece di avvicinarci, ci confrontiamo, ci giudichiamo, ci isoliamo. Siamo come navi ancorate al porto: sicure, ma ferme, spente, immobili.

 E il rapporto con Dio? Anche lì, il paradosso è evidente. Ci lamentiamo di non avere tempo per pregare, per fermarci, per ascoltare. Ma quanto tempo perdiamo scrollando su TikTok o leggendo gossip su Instagram? La solitudine non è solo sociale, è anche spirituale. Abbiamo dimenticato il gusto di dire un "grazie" semplice a Dio, di raccontargli la nostra giornata, di lasciargli spazio nel nostro cuore. La verità è che ci stiamo spegnendo dentro, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, fino a diventare vuoti. Abbiamo bisogno di tornare a Lui, di tornare a quella preghiera che non è una formula magica, ma un respiro di vita. Abbiamo bisogno di riscoprire che la fede non è un’aggiunta opzionale, è linfa per l’anima, è ossigeno per il cuore.

 E l’intelligenza artificiale? Certo, può essere un aiuto, può offrirci strumenti utili, può persino “ascoltarci” quando non c’è nessuno. Ma non facciamoci illusioni: non potrà mai sostituire una vera relazione, non potrà mai amarci davvero, non potrà mai guardarci negli occhi e capire cosa stiamo provando. L’intelligenza artificiale non ti abbraccia quando piangi, non ti sorride quando sbagli, non ti perdona quando ferisci. È solo una simulazione, e chi si rifugia lì rischia di rimanere intrappolato in un’illusione che diventa una prigione.

 Allora, cosa fare? Spegni lo schermo. Alza lo sguardo. Prendi un caffè con un amico, fai una passeggiata con tua madre, scrivi una lettera a qualcuno che ami. E quando ti senti solo, davvero solo, non cercare di riempire il vuoto con uno scroll infinito: vai davanti al Tabernacolo, anche solo per dire “Eccomi”. Parla a Dio come a un amico: Lui ti ascolta sempre. Ricorda: non è la tecnologia il nemico, ma l’uso che ne facciamo. Non lasciarti rubare il cuore. Non permettere che il mondo ti spenga. Resta vivo. Rimani umano. E torna a vivere davvero.

 

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