SANTA AGOSTINA PIETRANTONI
Livia Pietrantoni nacque il 27 marzo 1864 a Pozzaglia Sabina, seconda di undici figli di una famiglia povera ma profondamente cristiana. Fin da bambina conobbe la fatica: lavorò nei cantieri stradali per aiutare i genitori, ma mantenne un cuore semplice e una fede salda. Il suo carattere, dolce ma deciso, colpiva tutti: ispirava rispetto e serenità anche tra i più rozzi.
La vocazione maturò quasi per caso, grazie a uno zio frate che intuì in lei la chiamata alla vita religiosa. Nel 1886, a 22 anni, entrò tra le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret. Dopo il noviziato prese il nome di suor Agostina e fu inviata a Roma, all’Ospedale Santo Spirito, il più antico della città, dove aveva operato una lunga schiera di santi.
In quegli anni, Roma viveva un forte clima anticlericale: i crocifissi furono rimossi, alle suore fu vietato parlare di Dio. Suor Agostina rispose con silenzio, sorriso e dedizione totale ai malati. Servì prima tra i bambini, poi tra gli adulti tubercolotici, svolgendo anche i compiti più umili. Chi la conobbe la descrisse come “pronta, umile, ilare”, sempre disponibile e paziente anche di fronte alle offese.
Nel 1889 contrasse una grave malattia infettiva e guarì in modo sorprendente, attribuendo tutto alla Madonna. Tornò al servizio e chiese di restare nel reparto più difficile, quello dei tubercolotici uomini, dove affrontava ogni giorno rischi e ingratitudini. Nascose in uno sgabuzzino un’immagine della Vergine, che adornava con fiori e preghiere, chiedendo la conversione dei malati.
Tra i degenti vi era Giuseppe Romanelli, un uomo violento e mentalmente instabile, che dopo essere stato espulso dal reparto la minacciò di morte. Il 13 novembre 1894 la attese in un corridoio buio e la colpì a morte con un pugnale. Le sue ultime parole furono: «Madonna mia, aiutami!». Aveva 30 anni.
I funerali furono una commovente manifestazione popolare: migliaia di romani accompagnarono la “martire della carità”, come la definì anche la comunità ebraica di Roma.
Canonizzata da Giovanni Paolo II il 18 aprile 1999 e proclamata Patrona degli Infermieri d’Italia nel 2003, Santa Agostina Pietrantoni rimane un modello luminoso di umiltà, coraggio e amore cristiano vissuto nel servizio ai sofferenti. La sua vita, semplice e nascosta, fu trasfigurata dalla carità: “Si fece scannare come un agnello”, scrisse il medico che la soccorse, testimoniando la sua totale offerta a Dio.
Per noi oggi:
La carità non è comoda. Santa Agostina ci ricorda che servire davvero significa esporsi, rischiare, restare accanto agli ultimi anche quando il mondo ci invita a fuggire. Oggi, quanto del nostro “aiutare” è ancora gratuito e coraggioso?
La fede non è da nascondere. In un tempo in cui parlare di Dio sembra sconveniente, suor Agostina testimoniò il Vangelo senza parole, con i gesti. Noi, invece, ci vergogniamo di mostrare la nostra fede nei luoghi di lavoro e nella vita pubblica?
Il martirio non è solo di sangue. Ogni giorno possiamo “morire” a noi stessi per amore: nella pazienza, nella cura, nel perdono. Ma preferiamo la sicurezza e l’immagine. Siamo ancora disposti a perdere qualcosa per Cristo e per il bene degli altri?
Oltre a essere patrono di Cremona, Omobono Tucenghi è protettore di mercanti, lavoratori tessili e sarti. Egli stesso, infatti, fu commerciante di stoffe stimatissimo in città. Era abile negli affari e ricco. Oltretutto viveva solo con la moglie, senza figli. Ma il denaro - nella sua concezione della ricchezza, vista non fine a se stessa - era per i poveri. La sua azione lo portò ad essere un testimone autorevole in tempi di conflitto tra Comuni e Impero (Cremona era con l'imperatore). Quando morì d'improvviso, il 13 novembre del 1197, durante la Messa, subito si diffuse la fama di santità. Innocenzo III lo elevò agli altari già due anni dopo. Riposa nel duomo di Cremona
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