venerdì 31 ottobre 2025

31.10.2025 - Rm 9,1-5 - Lc 14,1-6 Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 9,1-5

Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
1. C’è in Paolo una grande tristezza, una continua sofferenza che lo coinvolge direttamente come ebreo: PERCHÉ GLI EBREI NON HANNO ACCETTATO GESÙ CRISTO E IL SUO VANGELO?

2. Paolo afferma che vorrebbe essere lui stesso “ANATEMA” a vantaggio dei suoi fratelli. IL SUO DOLORE, testimoniato dallo Spirito Santo, È PROPRIO UN’OFFERTA DELLA SUA VITA per la salvezza dei suoi fratelli.

3. Il loro rifiuto nei confronti del Figlio di Dio NON CANCELLA NULLA DELLA LORO ELEZIONE e quindi della loro posizione e missione nei confronti di tutti i popoli del mondo. Da loro proviene Cristo secondo la carne. “Egli è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”. GESÙ È DIO…

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+ Dal Vangelo secondo Luca - Lc 14,1-6

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Gesù non cambia la legge del sabato, ma ne denuncia la formalità e l’improprio appesantimento. Per questo, non solo Egli custodisce il precetto, ma anche lo illumina, collegandolo al principio fondamentale dell’etica cristiana, che è la carità.
È su questa strada "dall’amore alla giustizia", che dobbiamo camminare perché porta a Dio. Invece, l’altra strada, quella di essere attaccati alla legge, alle regole, dà sicurezza ma porta alla chiusura, porta all’egoismo.
Entriamo nella logica di Dio, liberiamoci dalla religiosità e dal formalismo. Facciamoci vicini a chi ha bisogno proprio come Gesù col malato di idropisia. Ricordiamoci sempre che il bene va fatto: il bene è la legge suprema che supera l’osservanza formale del sabato, anzi ne dà  il senso vero.

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Gesù fa domande, prende lui l’iniziativa, pone questioni, inquieta. E spesso ci lascia senza parole, incapaci di rispondere. Forse perché amiamo le discussioni dialettiche che rimangono in superficie?

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31.10 SANT'ALFONSO RODRIGUEZ

SAN ALFONSO RODRÍGUEZ (1531–1617)

 Nato a Segovia in Spagna da una famiglia di mercanti di lana, Alfonso Rodríguez mostrò fin da giovane un forte desiderio di consacrarsi a Dio. Studiò presso i gesuiti di Alcalá, ma la morte del padre lo costrinse a tornare a casa per occuparsi della bottega di famiglia. Sposato e padre di due figli, conobbe presto il dolore più profondo: la morte della moglie e dei bambini. Questo susseguirsi di prove lo spinse a cercare rifugio solo in Dio. Ceduti tutti i beni al fratello, tentò di entrare nella Compagnia di Gesù, ma la salute fragile e la scarsa preparazione lo resero inadatto al sacerdozio. Tuttavia, i gesuiti ne riconobbero l’umiltà e la profondità spirituale, accogliendolo come fratello coadiutore.

 Fu mandato a Palma di Maiorca, nel collegio di Monte Sion, dove per oltre trent’anni svolse con fedeltà il semplice incarico di portinaio. In quel ruolo, apparentemente umile, Alfonso trovò la sua strada verso la santità. Ogni persona che bussava alla porta trovava in lui accoglienza, consiglio, preghiera e conforto. La sua bontà semplice, unita a una severa disciplina interiore, trasformò la portineria in un luogo di grazia.

 Dio gli concesse doni straordinari: visioni, preveggenza, miracoli e una profonda vita mistica. Alfonso fu anche guida spirituale dei novizi gesuiti, tra cui san Pietro Claver, futuro apostolo degli schiavi, al quale predisse la missione. La sua spiritualità era centrata sull’amore verso la Vergine Maria — che invocava recitando ogni giorno il Rosario — e sulla devozione al proprio angelo custode, che più volte sentì vicino in modo tangibile.

 Celebre un episodio in cui il demonio tentò di soffocarlo con un fetore pestilenziale: l’angelo lo salvò fisicamente e spiritualmente. Da quell’esperienza Alfonso trasse un insegnamento potente: così come un’aria avvelenata può togliere la vita al corpo, il peccato priva l’anima della grazia e la conduce alla morte eterna.

 San Alfonso Rodríguez morì a Palma di Maiorca nel 1617. Canonizzato nel 1888, è patrono dei portieri e degli uscieri, simbolo luminoso di come anche il servizio più semplice, vissuto con amore e umiltà, possa diventare via di santità.

 

Per noi oggi:

 La grandezza non è nel ruolo, ma nell’amore con cui lo svolgi – San Alfonso non era un leader, un docente o un missionario famoso, ma un portinaio. Eppure la sua santità dimostra che il vero valore non è in ciò che facciamo agli occhi del mondo, ma in come lo facciamo: la gloria spesso si nasconde nelle azioni più umili.

 Il dolore può essere il trampolino verso la spiritualità – La perdita della famiglia avrebbe potuto spezzare Alfonso, e invece lo trasformò. La provocazione è chiara: forse ciò che evitiamo, ciò che temiamo o che consideriamo ingiusto, può diventare la porta verso la nostra più profonda crescita interiore.

 Il potere è sopravvalutato, la fedeltà è sottovalutata – Nel mondo moderno siamo ossessionati da ambizione, status e controllo. Alfonso insegna che la vera forza sta nella fedeltà quotidiana, nel vivere con integrità anche nei ruoli “invisibili”. Forse ciò che cambia il mondo non sono i grandi gesti, ma la coerenza silenziosa dei nostri piccoli atti.


Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre il suo volto. 
 Nell’isola di Palma di Maiorca, sant’Alfonso Rodríguez, che, perduti la moglie, i figli e tutti i suoi beni, fu accolto come religioso nella Compagnia di Gesù, dove svolse per molti anni la mansione di portinaio nel Collegio, divenendo un esempio di umiltà, obbedienza e costanza nel sacrificio.

giovedì 30 ottobre 2025

30.10.2025 - Rm 8,31b-39 - Lc 13,31-35 - Non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 8,31b-39

Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!
 Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto:
«Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello».
 Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
1. DIO CHE HA DATO SUO FIGLIO PER NOI È LO STESSO CHE CI SOSTIENE OGNI GIORNO. La vera domanda non è “chi è contro di me?”, ma “PERCHÉ DUBITO ANCORA DELL’AMORE CHE MI SOSTIENE?”.

2. NULLA CI SEPARA DA CRISTO… O SIAMO NOI A SEPARARCI DA LUI? Quante volte siamo noi a costruire muri interiori, a lasciarci travolgere dalla paura o dalla colpa? DIO NON SI ALLONTANA MAI, ma siamo noi a fuggire nel momento della prova. Ma dove vogliamo andare?

3. “NOI SIAMO PIÙ CHE VINCITORI” – ma lo crediamo davvero? Questa non è una frase motivazionale: è un'identità. Vivere da “più che vincitori” significa affrontare anche il dolore e la sconfitta con la certezza che l’Amore ha già vinto. LA FEDE CRISTIANA NON È SOPRAVVIVENZA: È VITTORIA NELLA DEBOLEZZA.

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 Dal vangelo secondo Luca - Lc 13,31-35
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». 

Gesù dimostra una straordinaria determinazione di fronte alla minaccia di Erode, continuando la sua missione di guarigione e liberazione senza paura. Egli risponde ai farisei chiamando Erode "volpe", sottolineando la sua astuzia e malevolenza, ma afferma chiaramente che deve proseguire il suo cammino, consapevole del suo destino a Gerusalemme. Gesù lamenta la storica resistenza di Gerusalemme ai profeti, esprimendo il suo desiderio di proteggere i suoi abitanti come una chioccia raccoglie i suoi pulcini, ma riconoscendo il loro rifiuto costante. Questo rifiuto porta alla profezia che Gerusalemme sarà abbandonata fino a quando non riconoscerà il Messia. Conclude annunciando che la città non lo vedrà più fino a quando non dirà: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore", evidenziando sia il giudizio imminente che la speranza di una futura riconciliazione. Gesù è la nostra speranza!

 

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30.10 SAN GERMANO DI CAPUA

SAN GERMANO DI CAPUA

 San Germano di Capua (morto nel 541) fu una delle figure più luminose della Chiesa del sesto secolo, noto per la sua profonda vita spirituale, la carità verso i poveri e il ruolo decisivo nella riconciliazione tra la Chiesa d’Occidente e quella d’Oriente dopo lo scisma acaciano. Nato in una famiglia benestante, alla morte del padre vendette tutti i suoi beni e ne distribuì il ricavato ai poveri, scegliendo di condurre una vita di preghiera, penitenza e meditazione delle Scritture.

 Alla morte del vescovo Alessandro, nel 516, il clero e il popolo di Capua lo elessero come suo successore. Pur sentendosi indegno, Germano accettò per obbedienza, dimostrando subito la sua saggezza e il suo zelo pastorale. La sua fama di santità e di dottrina spinse papa Ormisda ad affidargli una missione di grande importanza: ristabilire la comunione con la Chiesa d’Oriente, divisa da oltre trent’anni a causa dello scisma acaciano, originato dal patriarca Acacio di Costantinopoli.

 Inviato nel 519 come capo della delegazione pontificia, Germano seppe coniugare fermezza nella fede e spirito di riconciliazione. L’ascesa al trono dell’imperatore Giustino e l’elezione del patriarca Giovanni crearono un clima favorevole al dialogo. Grazie alla sua diplomazia e alla chiarezza teologica con cui presentò la fede cattolica, i rappresentanti orientali accolsero le richieste di Roma. Il Giovedì santo del 519, nella cattedrale di Costantinopoli, venne solennemente proclamata la fine dello scisma e ristabilita la piena comunione con la Chiesa.

 Rientrato in Italia, Germano continuò a promuovere la pace ecclesiale e a consolidare l’unità tra le Chiese. Nei Dialoghi di san Gregorio Magno sono ricordati due episodi che rivelano la sua santità: l’apparizione dell’anima del diacono Pascasio, liberato dal Purgatorio grazie alle sue preghiere, e la visione di san Benedetto, che vide la sua anima innalzarsi al cielo in un globo di fuoco nel giorno della sua morte, il 30 ottobre 541.

 San Germano di Capua rimane modello di vescovo fedele, uomo di preghiera e costruttore di unità nella Chiesa, testimone della forza della carità e della verità vissute in comunione con Dio.

 

Per noi oggi:

 Siamo costruttori di comunione o difensori di confini? San Germano non si è chiuso nei propri schemi ma ha speso la vita per ricucire uno scisma. Oggi, nelle nostre comunità e famiglie, siamo capaci di cercare la riconciliazione o preferiamo avere “ragione” piuttosto che costruire unità?

 Abbiamo il coraggio di spogliarci per il Vangelo? Germano vendette i suoi beni per seguire Cristo: un gesto estremo di libertà. Noi, invece, siamo incatenati al benessere e alle sicurezze, persino spirituali. Cosa saremmo disposti a perdere pur di vivere una fede autentica?

 La nostra fede brucia ancora? San Benedetto vide l’anima di Germano elevarsi in un globo di fuoco: simbolo di un cuore ardente di Spirito Santo. Ma la nostra fede oggi — tiepida, distratta, abitudinaria — scalda ancora qualcuno o si è spenta nella mediocrità del “si è sempre fatto così”?


I santi sono gli unici uomini veramente e pienamente realizzati.
 Nato nel V secolo da famiglia agiata, Germano si privò dei suoi beni per darli ai poveri. Condusse poi vita ascetica fino al 516 quando venne eletto vescovo di Capua. Amato nella sua diocesi, svolse una missione diplomatica particolarmente delicata. Su mandato di papa Ormisda si recò a Costantinopoli per cercare di mettere termine allo scisma iniziato dal patriarca Acacio. Nel tentativo di giungere all’unità con quanti si rifiutavano di accettare il concilio di Calcedonia, il patriarca aveva composto una formula di unione respinta da papa Felice II e dalle chiese d’occidente. La trattativa cui partecipò Germano andò a buon fine. L’imperatore Giustino e il patriarca Giovanni sottoscrissero il documento proposto da papa Ormisda e venne superata una divisione che durava ormai da due generazioni. Ritornato nella sua diocesi, il vescovo condusse vita ascetica fino alla morte avvenuta nel 541. 


SANTI? NON PERFETTI, MA VERI.

SANTI? NON PERFETTI, MA VERI.

C’è qualcosa di scandaloso nel celebrare Ognissanti nel 2025? Una festa che parla di santità in un tempo in cui la parola “santo” suona fuori moda, se non ridicola. Viviamo immersi nella cultura dell’apparenza, della performance e del “tutto subito”. Eppure, oggi più che mai, il mondo ha fame di santi. Non di statue o icone da calendario, ma di uomini e donne vivi, veri, che hanno il coraggio di credere nella luce mentre tutti parlano solo del buio.

 Ognissanti non è la festa dei perfetti, ma dei guariti: di chi ha lasciato che Dio entrasse nelle proprie ferite e le trasformasse in sorgenti di bene. I santi non sono alieni, ma uomini e donne che hanno preso sul serio il Vangelo nel loro tempo, nonostante le contraddizioni. E allora, se questa festa ha ancora un senso, è perché ci sbatte in faccia una domanda scomoda: “Tu, oggi, vuoi essere santo?” Rispondi!

 La santità non è un lusso spirituale, ma una rivoluzione del quotidiano. È dire “no” all’indifferenza quando conviene non vedere. È scegliere la verità quando tutti barattano la coscienza con il consenso. È restare umani in un mondo che si vanta di essere “intelligente”, ma dimentica il cuore.

 Celebrando Ognissanti, la Chiesa non ci invita a guardare in alto, ma dentro: a scoprire che la santità non è lontana, ma possibile. Forse il santo che Dio sogna oggi non vive in un monastero, ma lavora in un call center, in un ospedale, in un’aula scolastica o tra i senzatetto delle nostre città. Forse il santo di oggi è chi resta fedele in un matrimonio difficile, chi perdona un torto che non meritava, chi non smette di credere nel bene anche quando il mondo gli ride in faccia.

 E poi c’è il legame invisibile, quello che la festa di Ognissanti ricorda con forza: la comunione dei santi. Noi non siamo soli. C’è una rete misteriosa che unisce vivi e defunti, santi conosciuti e sconosciuti, credenti e cercatori di senso. In un mondo che celebra l’individualismo, Ognissanti ci ricorda che siamo corpo, non isole. Che la nostra vita ha peso nel destino di altri. Che pregare per chi non c’è più significa credere che nulla e nessuno vada perduto.

 Ecco la provocazione: se i morti non contano, se i santi non servono, allora anche noi non contiamo. Perché la santità, come la memoria, è l’antidoto all’insignificanza. È dire che ogni vita, anche quella che sembra fallita, può brillare di una luce che non si spegne.

 Forse il vero miracolo di Ognissanti è questo: ricordarci che la santità non è una fuga dal mondo, ma un tuffo dentro la realtà, con gli occhi fissi al Cielo e i piedi ben piantati nella terra degli uomini.

 E tu, nel tuo piccolo, nel tuo oggi, vuoi davvero credere che la santità è ancora possibile?

 

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mercoledì 29 ottobre 2025

29.10.2025 - Rm 8,26-30 - Lc 13,22-30 - Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 8,26-30

Fratelli, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
1. Noi non sappiamo cosa sia bene domandare. CI ILLUDIAMO DI CONOSCERE IL NOSTRO VERO BENE. Se ci affidiamo a Dio se lasciamo fare a lui, LO SPIRITO VIENE IN AIUTO ALLA NOSTRA DEBOLEZZA, e noi possiamo vivere secondo la sua volontà nelle situazioni che la vita ci conduce a vivere.

2. Dio fa tendere ogni cosa al bene di quelli che lo amano. È un INVITO ALLA FIDUCIA IN DIO che SA TRARRE IL BENE ANCHE DAL MALE e che sta conducendo la storia verso la salvezza. 

3. Il DONO DELLO SPIRITO, LA SUA AZIONE NEL CUORE DELLE PERSONE SONO LA GARANZIA che, nonostante le fragilità delle persone e le resistenze della natura umana segnata dal male, IL PROGETTO DI DIO SI REALIZZERÀ e la storia raggiungerà il traguardo fissato.

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+ Dal vangelo secondo Luca - Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».  

 

PORTA STRETTA: Il Vangelo di oggi ci ricorda che per raggiungere la vetta della vita eterna c'è solo una porta stretta, che significa sforzo, lotta, fatica. Per entrare nel Regno di Dio, non basta una appartenenza esteriore alla Chiesa. L'unico criterio decisivo è quello delle opere. Solo le opere buone ci faranno riconoscere da Cristo, che ci aprirà volentieri la porta. L'unità di misura della salvezza è l'amore ai poveri, agli ultimi, agli altri. Con disinteresse. È ora di riempire il nostro tempo con opere di bene!

 

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29.10 BEATA CHIARA LUCE BADANO

 

BEATA CHIARA LUCE BADANO (1971 - 1990)

 Chiara Luce Badano, morta a soli 17 anni a causa di un osteosarcoma, è ricordata per la straordinaria testimonianza di fede e gioia cristiana. Cresciuta a Sassello, in provincia di Savona, in una famiglia profondamente cattolica, fin da piccola fu educata alla preghiera e alla dedizione a Gesù, trovando ispirazione nella Madonna e nell’amore familiare. La sua adesione al movimento dei Focolari, iniziata intorno ai nove anni, consolidò in lei i valori di unità, misericordia e servizio verso gli altri.

 Sin da bambina Chiara dimostrò sensibilità verso i più bisognosi, compiendo piccoli gesti di carità e rinunce quotidiane, vedendo in ogni povero o malato la presenza di Gesù. La sua spiritualità si affinò nel corso degli anni, affrontando le difficoltà scolastiche e le incomprensioni familiari con pazienza e disponibilità. Quando a 17 anni le fu diagnosticato il tumore, Chiara reagì con un sorriso e una fiducia incrollabile in Dio, trasformando la sofferenza in un cammino di luce e di amore verso chi le stava accanto.

 La sua malattia divenne così un calvario luminoso: pur nelle sofferenze estreme, Chiara continuò a offrire conforto agli amici e alla famiglia, vivendo ogni attimo nella pienezza di Dio e preparando il proprio funerale come un incontro nuziale con Cristo. La sua morte, il 7 ottobre 1990, non segnò una sconfitta ma un trionfo della vita spirituale, testimoniando che la morte può essere superata dalla luce della risurrezione. Beatificata a Roma il 25 settembre 2010, Chiara Luce rimane esempio per i giovani di gioia, coraggio e fede autentica, mostrando come la vita, anche breve e segnata dalla sofferenza, possa essere un dono luminoso per gli altri.

 

Per noi oggi:

 La sofferenza può essere scelta come alleata, non come nemica: Chiara trasforma il dolore in luce; ci sfida a domandarci se anche noi sappiamo vedere la croce come opportunità di amore e crescita, invece che come ostacolo da evitare.

La gioia autentica nasce dal dare, non dal ricevere: la sua felicità non dipendeva dalle circostanze, ma dalla capacità di donarsi agli altri. Ci provoca a riflettere: quanto di ciò che possediamo o siamo è realmente al servizio del prossimo?

La vita breve può lasciare un’eredità eterna: Chiara dimostra che non servono decenni per cambiare il mondo; basta coerenza, amore e coraggio. Ci sfida a chiederci se stiamo vivendo come se avessimo tempo infinito, o se ogni giorno lo trasformiamo in dono.


L’importante è fare la volontà di Dio...è stare al suo gioco...
 Visse a Sassello con il padre Ruggero, camionista, e la madre Maria Teresa, casalinga. A nove anni conosce i ‘Focolarini’ di Chiara Lubich ed entra a fare parte dei ‘Gen’. Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Si informa di tutto, non perde mai il suo abituale sorriso. Alcuni medici, non praticanti, si riavvicinano a Dio. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: "Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!". Muore all’alba del 7 ottobre 1990.

martedì 28 ottobre 2025

28.10.2025 - Ef 2,19-22 - Lc 6,12-19 - Ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli.

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni - Ef 2,19-22

Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù.
In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

 

1. SULLA CROCE GESÙ CI HA RICONCILIATI CON DIO E TRA DI NOI, ha portato la pace, ai lontani e ai vicini, e così ci ha resi tutti concittadini e familiari, un'unica famiglia, come un unico tempio santo, abitazione di Dio in mezzo ai popoli della terra. Fratelli tutti…
2. Ogni muro divisorio dell'ostilità, quindi, è stato abbattuto, non ci sono più né stranieri né ospiti. Né extracomunitari, naufraghi, profughi..., muraglie di cemento armato… EPPURE CI SONO ANCORI TANTI MURI E NON SOLO DI CEMENTO…
3. Noi, resi vicini a Dio, rappacificati ed edificati sulle solide fondamenta, siamo CHIAMATI A CONTINUARE QUELLA COSTRUZIONE ben ordinata del tempio del Signore in cui ogni persona possa trovare pace e calore di famiglia. Buon lavoro…. 

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+ Dal vangelo secondo Luca - Lc 6,12-19
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

 

Gesù passa la notte in preghiera e, solo successivamente, sceglie i dodici apostoli, che saranno le colonne del nuovo Israele. Conosci la loro vita? A quale degli apostoli ti senti di somigliare in questo momento della tua vita?
Gli Apostoli hanno seguito Gesù, hanno percorso un lungo cammino di purificazione. Lentamente si sono staccati dalle proprie idee, dalle proprie sicurezze, per seguire Gesù. Non lo hanno seguito soltanto nelle cose in cui “loro erano d’accordo con Lui e Lui con loro”, ma sono stati guidati dalla grazia, dall'amore di Dio.
Hanno accolto la salvezza annunciata e realizzata da Gesù. Hanno sperimentato la misericordia di Dio verso coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati, gli emarginati. Lo hanno riconosciuto come unico vero Salvatore. Anche noi oggi Gesù ci chiama ad essere protagonisti!

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Gesù è solo e da solo, di notte, prega Dio. E poi sceglie la squadra. Altrimenti non ce l’avrebbe fatta. Eppure la squadra è, quantomeno, scarsa. E noi giochiamo in squadra o siamo solisti?

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28.10 SANTI SIMONE E GIUDA, APOSTOLI E MARTIRI

SANTI SIMONE E GIUDA, APOSTOLI E MARTIRI

 La Chiesa celebra insieme i santi Simone e Giuda il 28 ottobre, poiché entrambi furono apostoli di Cristo, testimoni della sua risurrezione e compagni di missione e di martirio. Secondo la tradizione, predicarono il Vangelo in Egitto e in Mesopotamia, affrontando la morte per la loro fede.

 Giuda, chiamato anche Taddeo (“magnanimo”) o Lebbeo (“coraggioso”), era fratello di Giacomo il Minore e parente di Gesù. È ricordato nei Vangeli e, nell’Ultima Cena domandò a Gesù come si sarebbe manifestato ai suoi discepoli. La tradizione narra che evangelizzò la Giudea, la Samaria, la Siria e la Mesopotamia, trovando infine il martirio a Emessa. È venerato come patrono delle cause impossibili e dei casi disperati.

 San Simone, detto Cananeo o Zelota — termini che significano rispettivamente “fervente” o “osservante della Legge” — fu anch’egli tra i Dodici. La tradizione lo vuole vescovo di Gerusalemme o di Pella e annunciatore del Vangelo fino in Persia, dove avrebbe subito il martirio. È venerato come patrono dei pescatori e dei taglialegna, poiché secondo il racconto agiografico fu segato in due.

 Nell’iconografia cristiana, Giuda Taddeo è spesso rappresentato con un libro — simbolo della Parola di Dio che proclamò — e un’alabarda, strumento del suo martirio; Simone con la sega, che ricorda la sua morte cruenta. Le loro reliquie si trovano oggi nella Basilica di San Pietro a Roma.

 L’unione nella loro festa liturgica ricorda la comunione nella missione e nel sacrificio. Entrambi, pur poco citati nei Vangeli, rappresentano l’umiltà e la fedeltà degli apostoli che, nel silenzio, annunciarono Cristo fino al dono estremo della vita.

 

Per noi oggi:

I Santi Simone e Giuda non hanno lasciato molte parole, ma la loro fedeltà silenziosa parla più forte di mille discorsi. Oggi, in un mondo che misura tutto in visibilità e successo, la loro vita ci provoca:

-         siamo ancora capaci di essere apostoli nascosti, servitori senza applausi, testimoni senza scena?

 Essi hanno creduto fino alla fine, pur senza certezze, e hanno annunciato Cristo in terre ostili.

-         Noi invece, che abbiamo libertà, fede, mezzi e parola, quanto rischiamo per il Vangelo?

 Simone lo Zelota e Giuda il Magnanimo ci ricordano che la vera forza cristiana non sta nel potere, ma nella passione e nel coraggio di credere fino alla croce.

-         Non basta “seguire” Gesù: bisogna lasciarsi spingere dallo Spirito fino ai confini scomodi della fede, dove si ama senza tornaconto e si perdona senza misura.

 Il loro martirio non è un ricordo antico, ma una domanda viva:

-         quanto vale davvero per noi la fede che diciamo di avere? Siamo disposti a perdere qualcosa per non perdere Cristo?

 Solo chi, come loro, si lascia consumare dall’amore di Dio, può diventare segno di resurrezione nel mondo dell’indifferenza.

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SAN GIUDA TADDEO
Il Signore ha affidato a San Giuda Taddeo l’importantissimo compito di proteggerci nei momenti di disperazione estrema per evitare, da parte nostra, atti irreparabili". Mons. Giulio Penitenti

NEW AGE VENDE, CRISTO DONA.

NEW AGE VENDE, CRISTO DONA.

I giovani di oggi inseguono mille luci: astrologia, tarocchi, cristalli, rituali New Age, “energia positiva”. Sembrano strumenti moderni per sentirsi in pace. Ma sono davvero la risposta?

La storia di Josée-Anne Sarazin-Côté, ex star del New Age e insegnante di astrologia, ci mette davanti a una provocazione radicale: tutto ciò che promette potere e controllo sulla vita è illusione. Solo Cristo dà la vera libertà.

 

Quando il New Age non basta più

 Per anni, Josée-Anne ha costruito il suo mondo con oroscopi, pianeti, corsi online e workshop pieni di cristalli. Una comunità di migliaia la seguiva, convinta che lì ci fosse la verità. Poi la diagnosi: sclerosi multipla primariamente progressiva.

Tremori, perdita della vista, prospettiva della sedia a rotelle. Di fronte alla realtà dura e cruda, l’oroscopo non consola. Mercurio retrogrado non salva. I cristalli non curano. Le frasi zuccherose del tipo “non guarisci perché non ti ami abbastanza” diventano pugnalate.

Nella tua vira quando la vita crolla, il tuo “credo” regge o si frantuma come vetro?

 

La vera meditazione

 Josée-Anne provò anche con la meditazione: tre, quattro ore al giorno. Momenti di calma, certo. Ma il resto delle ore? Vuoto. Rabbia. Paura. Poi, inaspettato, l’urto della grazia: una voce interiore, chiara, semplice: “Prega Gesù.”

All’inizio un balbettio goffo: “Ciao Gesù, sono Josée-Anne.” Eppure, lì, la pace. Non quella costruita con sforzi titanici, ma quella che scende dall’Alto.

È proprio vero e non è ridicolo parlare con Gesù: è ridicolo cercare tutto ovunque tranne che da Lui.

 

La fede che non scappa davanti al dolore

 La malattia non è sparita. Il dolore è rimasto. Ma qualcosa è cambiato: non era più sola. Gesù non le ha tolto la croce, ma l’ha portata con lei. “La nostra fede è forgiata nel fuoco della sofferenza”, dice oggi. È qui che il messaggio per i giovani diventa esplosivo: la vita non sarà mai tutta “peace & love” come su Instagram. Ma se impari ad abbracciare la tua croce, non sarai mai schiavo. Sarai libero.

E Tu preferisci un’illusione zuccherata che crolla al primo colpo, o una forza che ti sostiene anche nell’inferno del dolore?

 

Cristianesimo gratuito contro spiritualità a pagamento

 C’è un altro punto che spiazza: nel New Age, tutto si compra. Corsi, cristalli, libri, abbonamenti. Nel cristianesimo, invece, è tutto gratis. Nessuna formula segreta. Nessun “pacco energetico” da acquistare. Solo un cuore che si apre a Gesù. “Non ho niente da vendere”, dice Josée-Anne. “Voglio solo che tu apra il tuo cuore al Signore.”

E Tu vuoi davvero continuare a pagare per risposte che non ti salvano? O accettare gratis Colui che ti salva davvero?

 

La vera rivoluzione del cuore

 Oggi Josée-Anne vive sulla sedia a rotelle, ma non è sconfitta. Sorride, ringrazia, educa la figlia alla fede. La sua gioia è contagiosa. Non perché la vita sia diventata facile, ma perché ha scoperto che “niente di speciale” è già un miracolo quando lo vivi con Gesù. E allora, ragazzi, ecco la sfida: Volete restare schiavi delle mode spirituali usa e getta? O rischiare la libertà di chi sa che anche nel dolore c’è speranza?

La vera rivoluzione non è leggere il futuro nelle stelle, ma fidarsi di Colui che ha fatto le stelle.

 

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lunedì 27 ottobre 2025

27.10.2025 - Rm 8,12-17 - Lc 13,10-17 - Questa figlia di Abramo non doveva essere liberata...

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani - Rm 8,12-17

Fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
1. L'apostolo ci ricorda che ABBIAMO RICEVUTO LO SPIRITO DI DIO donato da suo Figlio che CI HA RESI FIGLI ADOTTIVI, ma Figli nel Figlio. Dunque non siamo più servi ma Figli. Sei consapevole?

2. Grazie allo Spirito possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Abba” termine aramaico semplicissimo per indicare il papà. POSSIAMO DARE DEL TU A DIO E CHIAMARLO PAPÀ. Un Padre speciale!

3. Siamo Figli grazie allo Spirito, dunque CI SIAMO ANCHE NOI NELLA MERAVIGLIA DELLA TRINITÀ. Siamo chiamati ad essere un cuor solo e un'anima sola come le Tre divine persone… QUESTO È IL FINE DI OGNI UOMO…

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+ Dal Vangelo secondo Luca - Lc 13,10-17

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Ipocriti! Ma cos'è l’ipocrisia? Si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità.
Gesù è un uomo vero che non si nasconde dietro a degli alibi per non fare il bene.  Il bene si può farlo sette giorni su sette, soprattutto se riconosciamo che il vero bene consiste nell’obbedienza a Dio dentro le circostanze che accadono anche in quelle impreviste.
Il comandamento dell'amore, il fare il bene passa avanti a qualsiasi precetto.  Non consideriamoci a posto o, peggio, migliori degli altri per il solo fatto di osservare delle regole. L’osservanza letterale dei precetti è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti.

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Ennesima polemica sul formalismo dell’applicazione della legge. Il nodo però è a monte: quando non vogliamo vedere non vediamo. Non è forse vero che se siamo mal disposti ogni scusa è buona?

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