«QUANDO SONO DEBOLE...
È ALLORA CHE SONO FORTE...»
La debolezza che ci abita non è una malattia di cui dovremmo liberarci, è piuttosto la condizione che caratterizza la nostra bellezza e la nostra ricchezza più vera.
Pensa a Milton Erickson, uno dei più grandi terapeuti del Novecento, lui non si arrese di fronte alle innumerevoli debolezze fisiche che per tutta la vita lo hanno accompagnato, ed è così che oggi abbiamo alcune tra le più importanti ed efficaci tecniche di ipnosi e di psicoterapia. Milton Erickson non amava le lamentele: a 17 anni era stato in punto di morte per una grave malattia e ne era uscito con gravi menomazioni fisiche. Un’altra malattia, in età adulta, lo aveva limitato ancora di più; inoltre era un po’ sordo, daltonico, dislessico e soffriva di numerose allergie. Nonostante questo, aveva sempre pensato che fosse più saggio vivere pienamente che lamentarsi per le sfortune che ci capitano. Questo coraggio della debolezza lo aveva premiato: ebbe una famiglia numerosa e felice, con otto figli, diventò medico e apprezzato terapeuta: considerato tuttora il pioniere dell’ipnoterapia e ispiratore di molti approcci terapeutici.
Per anni ho conservato una frase che lui ripeteva spesso: «Invece che fare una vita brutta a causa dei miei malanni, cerco di fare una vita meravigliosa nonostante i miei malanni».
La fragilità è la cifra della nostra umanità, ci accompagna per tutta la vita, ricordandoci che non si può fuggire la nostra vulnerabilità. Eppure amiamo e vogliamo essere forti, abbiamo anche paura di non essere abbastanza forti e scappiamo, nascondendo le nostre ferite che, se illuminate, possono invece diventare feritoie da cui passa la luce: la nostra ricchezza più grande. Non sono le ferite che devono spaventarci, ma la fuga da noi stessi e dalla vita, la scelta della penombra invece che della luce, il rifugio nel cinismo e nel disincanto invece che nella fiducia e nella speranza che la vita, con la sua saggezza, ha sempre l’ultima parola.
In tanti anni che accompagno le persone in situazione di crisi, di sofferenza e di fallimento, se ho potuto, qualche volta, essere d’aiuto, è grazie alla mia debolezza accolta, non fuggita, trasfigurata. Bisogna imparare ad amare anche le nostre cicatrici e vederle come solchi in cui depositare i semi dai quali nasceranno nuovi germogli.
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