martedì 30 gennaio 2024

MATERNITÀ MIGRANTE

MATERNITÀ MIGRANTE

Quando parliamo di “maternità migrante” parliamo di madri che della emigrazione sono vittime. Che affrontano mare e deserto, persecuzioni e campi di detenzione, fame e sete, pericoli che vengono dagli uomini e dalla natura, spinte dalla volontà di dare ai propri figli una vita migliore. Molte madri migranti probabilmente sarebbero rimaste legate al proprio destino se non ci fosse stata una spinta di testa e cuore. Se l’avvenire dei figli non le avesse convinte a lasciare le loro povere sicurezze. È una condizione diffusa: le statistiche ci dicono che le donne emigrate, contrariamente al passato, sono di più degli uomini. È “maternità migrante” anche quella delle madri che non seguono i figli, da questi abbandonate per inseguire un futuro migliore. Madri che rimangono nella loro casa, ma private dell’amore e della protezione di chi hanno messo al mondo. Assediate dal dolore di non sapere e di immaginare il peggio: i loro figli sconfitti dalla sabbia del deserto o inghiottiti dalle onde di un mare nemico, mai arrivati a destinazione.

Molte sono le tragedie nel deserto e nel mare, come la storia di Fati e Marie, madre e figlia morte di sete e di stenti nel deserto fra Tunisia e Libia. Un deserto che una giornalista marocchina Karima ha definito «un fronte di guerra senza bombe, una fossa comune uguale al mare Mediterraneo». 

C’è il dolore di madri che non ricevono notizie dai figli e cercano la verità. È il caso di Leyla, madre di Youseff, che cercava di raggiungere l’Italia. Leyla non ha notizie del figlio da oltre tre anni. «Lui non c’è – dice – ecco perché la mia lotta per conoscere la verità è cresciuta e ora mi sento madre di tutti i giovani che scompaiono». 

Esemplari sono quelle madri che si prendono cura dei figli altrui: nel loro paese d'origine, si prendono cura dei figli di coloro che sono partiti, diventando madri sostitutive.

Un dramma è il caso delle “madri interrotte” come Fassiuta costretta ad abbandonare sei figli in Costa d'Avorio. È partita per garantire ai suoi figli un futuro migliore, consapevole dei rischi enormi a cui andrà incontro. La madre che lascia i figli per amore nei loro confronti è la contraddizione più dolorosa. Per questo in tante preferiscono portarseli con loro. Anche piccoli, anche ancora nella loro pancia.

E così abbiamo le donne migranti incinte. Donne fragili, eppure consapevoli che senza un atto di coraggio la loro creatura non ha avvenire. A volte queste madri-coraggio muoiono nel dare alla luce i figli. Come Sephora, morta a Brindisi sola, dopo aver dato alla luce una bambina. Due giorni prima era stata salvata in mare. Non aveva documenti con sé, oltre al suo nome aveva detto di avere 24 anni e di venire dal Burkina Faso.

Un dolore straziante è quello delle mamme che perdono i loro figli drammaticamente perché gli scivolano dalle braccia cadendo in mare. A Lampedusa c’è chi ricorda ancora oggi il pianto, lungo e muto, della madre, neppure 18 anni, accanto alla sua bambina di 5 mesi che non c'era più. 

E che cosa avviene delle madri quando con i figli o senza di essi arrivano in un paese straniero? Riescono a realizzare qualcuna delle aspirazioni per cui hanno affrontato pericoli e dolori? Senza il vantaggio della lingua, alcune rimangono più sole e isolate, sperimentano la freddezza di una società che non le aspetta.

E noi che chiediamo a queste donne la cura dei nostri figli e dei nostri anziani spesso ci dimentichiamo che anche loro hanno una famiglia. A volte divisa anche qui, perché mogli e mariti sono divisi, lavorano in famiglie diverse.

«Le donne migranti portano nella loro carne esperienze drammatiche»: sono le parole di Papa Francesco.

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