martedì 29 aprile 2025

VIVERE (E MORIRE) PARTENDO DALLA RESURREZIONE

VIVERE (E MORIRE) PARTENDO DALLA RESURREZIONE

80 anni fa veniva giustiziato Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante, pastore e patriota tedesco, con l'accusa di avere cospirato contro Hitler.

Il 9 aprile è l’ottantesimo anniversario della morte di Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), giustiziato all’età di 39 anni nel lager di Flossenbürg, dopo due anni di dura prigionia per “complicità in alto tradimento della patria” e “demoralizzazione delle truppe e renitenza al servizio militare”. Rinchiuso dapprima nel carcere militare di Tegel (Berlino-Brandeburgo), dopo la scoperta della sua partecipazione al fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944 verrà condotto nel carcere della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse. Da lì sarà trasferito nel febbraio 1945 nel lager di Buchenwald, poi a Regensburg, a Schönberg in Baviera, e infine a Flossenbürg, dove due settimane prima della liberazione del campo da parte alleata verrà impiccato insieme ad Hans Oster e all’ammiraglio Wilhelm Canaris.

 Quest’ultimo, a capo dell’Abwehr, il servizio segreto militare del Reich, insieme al colonnello Claus von Stauffenberg, cattolico, e ad Hans von Dohnányi aveva organizzato l’Operazione Valchiria, nella quale furono cooptati Dietrich Bonhoeffer e suo fratello Klaus, cognati di Dohnányi. Da quel momento, Bonhoeffer si impegna in un complesso esercizio di doppi giochi e di menzogne “per la verità”.

 L’Operazione Valchiria prevedeva un colpo di Stato a seguito dell’uccisione di Hitler con una bomba piazzata nella Wolfsschanze, la Tana del lupo, quartier generale del Führer a Rastenburg. Tuttavia la valigetta con l’ordigno, collocata sotto al tavolo da von Stauffenberg prima di allontanarsi con una scusa, restò lontana da Hitler e il tavolo gli fece da schermo nell’esplosione.

 In seguito al fallimento del 20 luglio, le speranze di liberazione dalla prigionia vennero meno. Già ben prima del suo arresto, Bonhoeffer aveva messo in conto la possibilità dell’estremo sacrificio, come aveva presentito nel 1942: “Finché non è giunta la sua ora, Cristo si è sottratto alla sofferenza; a quel punto però è andato liberamente incontro ad essa, l’ha affrontata e vinta. […] Noi non siamo Cristo, ma se vogliamo essere cristiani, dobbiamo condividere la sua grandezza di cuore nell’azione responsabile, che accetta liberamente l’ora e si espone al pericolo”.

 Ma che cosa aveva portato un pastore luterano e raffinato teologo a farsi protagonista della resistenza al regime nazista? Bonhoeffer fondò nel 1934 con Karl Barth una Chiesa confessante in aperta polemica con la subalternità al nazismo della Chiesa evangelica ufficiale. Nel 1939 decise di tornare in Germania, declinando un sicuro asilo a New York.

 Nel 1942, mentre la Gestapo era già sulle sue tracce, Bonhoeffer donò ad alcuni amici fidati un breve scritto a futura memoria, Dieci anni dopo, in cui riaffermava la responsabilità personale del cristiano dinanzi al mondo. Se si sfugge al confronto pubblico in nome di una “virtù privata”, si dovrà allora chiudere occhi e bocca davanti all’ingiustizia. Solo chi accetta la responsabilità dell’azione, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio, può “colpire in profondità e vincere il male”.

 Bonhoeffer sapeva che la libertà cristiana non significa evitare il peccato, ma assumersi il rischio dell’azione responsabile. L’Operazione Valchiria, tuttavia, fallì. Gli Alleati non credettero all’esistenza di una resistenza interna e la Gestapo scoprì la rete cospirativa, arrestando Bonhoeffer e il cognato von Dohnányi il 5 aprile 1943. La sua prigionia a Tegel rafforzò in lui la convinzione che Dio fosse presente nella storia e nel mondo, non in un al di là distante.

 Le Lettere alla fidanzata e gli scambi epistolari con l’amico Eberhard Bethge, raccolti in Resistenza e resa, documentano la tensione morale e la fede di Bonhoeffer, che spinse la sua teologia verso una radicale cristologia dell’incarnazione e della croce, sempre sotto il segno della risurrezione. Egli rifiutava un cristianesimo alienante e spiritualista, affermando invece: “Se la terra è stata fatta degna di sostenere i passi di Gesù Cristo, se è vissuto un uomo come Gesù, allora e solo allora per noi uomini vivere ha un senso”.

 Per Bonhoeffer, la fedeltà alla terra e la speranza della risurrezione non erano in contraddizione. “Solo quando si amano la vita e la terra al punto tale che sembra che con esse tutto sia perduto e finito, si può credere alla risurrezione dei morti e a un mondo nuovo”. La sua scelta di partecipare alla congiura contro Hitler non era dunque un tradimento, ma un atto di amore supremo per la vita stessa, in fedeltà a Cristo e alla sua chiamata.

 Bonhoeffer non cercava la morte, ma era disposto ad accoglierla se necessario, perché la sua fede non era una fuga dalla realtà, bensì un radicamento profondo in essa. Nella sua ultima lettera a Bethge, il 27 marzo 1944, scrisse: “Non è nell’ars moriendi, ma è dalla risurrezione di Cristo che può spirare nel mondo presente un nuovo vento purificatore. Vivere partendo dalla risurrezione: questo significa Pasqua”.

 Questa visione teologica ed esistenziale si riassume nella domanda guida della sua vita: “Chi è Cristo per noi oggi?” La risposta di Bonhoeffer colloca Cristo al centro della vita, non ai margini dell’esistenza umana. Il cristianesimo non è evasione dal mondo, ma impegno concreto nella storia, perché “Cristo al centro della vita” è la testimonianza che lascia ai cristiani di ogni tempo.

 Nel tempo del nichilismo nazista, Bonhoeffer testimoniò una fede che non si rifugiava in un “altrove” lontano, ma che si radicava nella responsabilità e nella speranza. Ancora oggi, la sua eredità ci interroga: “Chi è Cristo per noi oggi?”

 

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