martedì 27 maggio 2025

LA CASA MADRE DELLA GIOIA: UTOPIA EDUCATIVA O SEGNO CONCRETO DI SPERANZA?

LA CASA MADRE DELLA GIOIA: UTOPIA EDUCATIVA O SEGNO CONCRETO DI SPERANZA?

Che cosa vuol dire davvero offrire una “seconda possibilità”? È possibile rieducare chi ha sbagliato, o è più comodo etichettarlo per sempre? E poi, ha senso parlare di redenzione in una società che spesso preferisce condannare anziché comprendere?

 A Comiso, in provincia di Ragusa, un piccolo centro nato dalla spiritualità della Comunità Nuovi Orizzonti, fondata da Chiara Amirante, sta provando a rispondere a queste domande con i fatti. La Casa Madre della Gioia, oggi accoglienza per minori autori di reato, non è semplicemente un luogo in cui “scontare” una pena, ma un ambiente che tenta di restituire futuro. Ma può davvero una casa, per quanto ben gestita, scalfire il peso delle ferite, delle marginalità, della diffidenza?

 All’inizio quella villetta, donata nel 2017 dalla professoressa Maria Ferlisi, era destinata ad altro: ritiri spirituali, incontri, formazione al carisma di Nuovi Orizzonti. Poi la svolta: prendersi cura di adolescenti “difficili”, spesso dimenticati o giudicati. Ma chi sono davvero questi ragazzi? Sono criminali in miniatura o vittime di un contesto che non ha mai offerto loro alternative?

 Il direttore Enrico Massari, insieme al personale e ai volontari, ha deciso di affrontare una sfida educativa che pochi avrebbero accettato: accogliere chi ha infranto la legge, accompagnarlo, e – soprattutto – crederci. Ma come si costruisce fiducia con chi ha imparato a sopravvivere diffidando degli adulti? Come si parla d’amore a chi ha conosciuto solo l’abbandono?

 

Rieducare o punire?

 

È qui il nodo: la giustizia minorile dovrebbe rieducare, ma lo fa davvero se si limita a rinchiudere? La Casa Madre della Gioia propone un modello diverso, che ruota intorno a una parola ormai rara: relazione. Qui non si impongono dogmi religiosi, ma si testimonia uno stile di vita evangelico fatto di ascolto, perdono, pazienza. È sufficiente questo per scardinare modelli devianti radicati da anni? E se non è sufficiente, vale comunque la pena tentare?

 I ragazzi partecipano a tutto: cucinano, puliscono, vanno a scuola, fanno attività di gruppo. Qualcuno si apre, altri resistono. Qualcuno reclama più tempo per parlare con i propri genitori, altri preferiscono isolarsi. E qui un’altra domanda brucia: è giusto “imporre” la convivenza e le regole a giovani che non hanno scelto di essere lì? È giusto chiedere collaborazione a chi ha vissuto sempre sulla difensiva?

 

Il pregiudizio: chi sbaglia è perduto?

 

Uno degli ospiti lo dice chiaramente: “Non tutti meritano la seconda possibilità”. Affermazione dura, quasi spietata. Ma non è, forse, lo specchio di ciò che molti pensano senza avere il coraggio di ammetterlo? L’idea che esistano persone “perdute” per natura, impossibili da recuperare, è ancora viva nella nostra cultura. Ma chi siamo noi per stabilire chi può redimersi?

 I volontari di Nuovi Orizzonti scelgono di credere che il cambiamento sia possibile. Anche quando tutto rema contro. Anche quando la delusione arriva. Perché l’alternativa è rassegnarsi. Ma è accettabile questa resa, soprattutto davanti a vite così giovani?

 

Un territorio che lotta con il cuore

 

A rendere tutto più difficile è il contesto. Siamo nel Sud profondo, dove le infrastrutture sono carenti, le istituzioni spesso assenti, e l’orizzonte per tanti giovani si restringe a un vicolo cieco. Allora viene da chiedersi: lo Stato dov’è? È giusto che siano solo realtà come questa a farsi carico del disagio giovanile? E se queste realtà non ci fossero, che ne sarebbe di questi ragazzi?

 La risposta, per la Casa Madre della Gioia, è chiara: non ci si può voltare dall’altra parte. Con l’aiuto dell’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, si sperimentano percorsi nuovi: la via Francigena, la vela intorno alla Sicilia. Esperienze che cambiano lo sguardo. Ma sono eccezioni o possono diventare modello?

 

La libertà è il vero obiettivo

 

Maria Capozzo, operatrice, lo dice con parole semplici: “I ragazzi che arrivano mancano del bene più grande: la libertà”. Non quella fisica, ma quella interiore, quella che ti consente di scegliere il bene anche quando sei ferito. Come si dona questa libertà? Come si insegna a viverla a chi ha sempre vissuto tra mancanza e rabbia?

 Non c’è ricetta magica. Ma forse questa piccola casa a Comiso, in mezzo a mille limiti, sta dicendo qualcosa di grande: che ogni vita può essere salvata. Non tutte lo saranno. Ma questo non ci esonera dal provarci. Perché, alla fine, la domanda più provocatoria non è per i ragazzi. È per noi: crediamo ancora che l’amore possa cambiare il mondo, o abbiamo smesso di provarci?

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