giovedì 15 maggio 2025

LAMINE YAMAL: SIMBOLO DI UN’IDENTITÀ CHE UNISCE O CHE DIVIDE?

LAMINE YAMAL: SIMBOLO DI UN’IDENTITÀ CHE UNISCE O CHE DIVIDE?

Cosa significa oggi appartenere a una cultura? E, ancor di più: è possibile appartenere a più culture senza dover scegliere tra l’una o l’altra? La storia del giovane calciatore Lamine Yamal, stella emergente del Barcellona, sembra rispondere a queste domande con una forza che va ben oltre lo sport.

 Il vescovo Xabier Gómez García, pastore della diocesi di Sant Feliu de Llobregat — città dove Yamal è nato — non ha dubbi: il giovane atleta rappresenta una nuova generazione che rifiuta le etichette semplicistiche. Ma davvero la società è pronta ad accettare questa complessità? Siamo capaci di vedere la ricchezza dietro a un'identità che non si lascia chiudere in confini rigidi?

 Nella sua lettera pastorale dell’11 maggio 2025, il vescovo parla di transculturalità, non come semplice coesistenza tra culture, ma come interazione creativa e dinamica tra di esse. Yamal, figlio di padre marocchino e madre della Guinea Equatoriale, cresciuto in un quartiere operaio della Catalogna, non rappresenta un’eccezione esotica, ma una realtà sempre più comune. E allora: perché ci ostiniamo a considerare “altro” ciò che ormai è parte del nostro tessuto quotidiano?

 

Identità come ponte o come muro?

 

“Yamal rappresenta una generazione che non concepisce i confini culturali come muri, ma come ponti.” La frase del vescovo non è solo poetica: è una provocazione. Perché mentre una parte della società si rinchiude in nostalgie identitarie e discorsi esclusivi, c’è un volto giovane che dimostra che identità multipla non significa frammentazione, ma sintesi viva. E tu, che idea hai dell’identità? È qualcosa da difendere come un castello o da costruire ogni giorno in dialogo con l’altro?

 Il calcio, spesso riflesso delle nostre tensioni sociali, diventa in questo caso un pulpito imprevisto. È possibile che un atleta, acclamato per le sue abilità, possa diventare anche un messaggio vivente contro la discriminazione e la chiusura? Yamal lo fa con naturalezza: non rinnega le sue origini, le integra. Porta con orgoglio il “304” del suo quartiere sulla pelle, senza mai dimenticare né il Marocco né la Guinea Equatoriale. Ma c’è spazio, oggi, per una cittadinanza che non chiede di cancellare le radici per essere accolta?

 

Dalla periferia alla collettività

 

“Il loro successo dentro e fuori dal campo dimostra come la diversità possa essere fonte di ricchezza collettiva.” Il vescovo non parla solo a nome della Chiesa, ma a nome di una visione sociale e politica. Perché in tempi in cui l’immigrazione viene spesso trattata come emergenza o minaccia, che cosa ci dice la vita di un ragazzo nato nella periferia barcellonese e diventato simbolo di orgoglio nazionale?

 C’è forse un messaggio anche per le politiche pubbliche e per le comunità cristiane: possiamo ancora permetterci di pensare l’integrazione come adattamento passivo a un modello unico? Oppure è giunto il momento di parlare di costruzione condivisa, di convivenza fondata sul rispetto e sullo scambio?

 Il progetto Atlantic Hospitality, promosso dal vescovo Gómez García, cerca di rispondere a queste domande con azioni concrete. Informare chi vuole emigrare per rendere la scelta consapevole e libera: è forse questa la nuova forma di carità politica e pastorale di cui abbiamo bisogno?

 

Una lezione per la Chiesa e per la società

 

Infine, il vescovo lancia una sfida: “La transculturalità è una risposta amorevole a tanta violenza e disintegrazione.” Ma siamo disposti ad ascoltarla? La Chiesa, le scuole, le famiglie, i mezzi di comunicazione: sono pronte a educare i più giovani a vivere questa ricchezza invece che temerla?

 Lamine Yamal non è solo una promessa del calcio: è il volto di una cittadinanza nuova, fluida ma non confusa, radicata ma aperta. La sua figura ci interroga: vogliamo costruire muri per proteggerci, o ponti per crescere insieme?

 

E tu, da che parte vuoi stare?

 

📲 I MIEI SOCIAL:

Nessun commento:

Posta un commento