giovedì 28 dicembre 2023

PER NON OSSIDARSI…

PER NON OSSIDARSI…

Oggi si sta facendo largo un nuovo tipo di noia: ci si annoia non quando non si ha niente da fare, bensì quando si sta col telefono in mano, a scuola o in università, in famiglia, a lavoro, al mare, in viaggio. Come se si fosse costantemente insoddisfatti, distratti, abituati. Cambia lo spazio, cambia il tempo, cambia l’essere. Perché?

Innanzitutto, la noia sembra essere legata alla mancanza di desiderio. Siamo abituati ad avere tutto e ad averlo subito. In base alle logiche di mercato siamo stati educati a investire in modo ossessivo sulla corporeità e sull’apparenza, a consumare e buttare gli oggetti. Così, persino la possibilità di costruire e coltivare relazioni capaci di durare nel tempo è sempre più remota.

Di conseguenza, tutto è piatto perché già conosciuto, tutto è normale perché già vissuto, tutto è scontato perché dovuto in base ai diritti che tanto si reclamano. Non ci si stupisce più di nulla. E ci si annoia proprio a causa della mancanza di meraviglia, cioè dell’incapacità di meravigliarsi e della difficoltà del lasciarsi meravigliare dai propri interlocutori.

L’impossibilità di saper distinguere lo scorrere del tempo schiaccia l’individuo nel presente e nel presentismo, ossia nell’idea di vivere in un eterno oggi. Ci si ritrova al centro di abitudini e impegni improrogabili, dove gli imprevisti comandano, il tempo è in disordine e non si ha alcuna percezione del futuro. È innegabile che una certa assenza di visione sembra riguardare anche gli adulti, ma quante volte noi giovani ci sentiamo dire che il mondo di oggi gira sempre più veloce, che dobbiamo farci trovare pronti e perdere un solo minuto può essere fatale?

Produrre, governare, agire: per la noia “classica”, quella che richiede silenzio e astrazione e poi magari fa venire grandi intuizioni, non c’è spazio. Essa è stata sostituita da una noia onnipresente che risponde al bisogno di sentirsi e mostrarsi sempre attivi: la notifica dello smartphone, poi il social network con gli ultimi aggiornamenti, un reel su Instagram e una videochiamata con «gli altri». «Esco» perché «a casa non so che fare». Non sappiamo non fare niente. Anzi, abbiamo paura di non fare niente, di pensare e di stare fermi.

Eppure, non è proprio in quei momenti che s’inizia a riflettere, immaginare, progettare? Perché fuggiamo dalla noia ma diciamo di avere sempre più bisogno di tempo libero per stare bene — come dimostra il fenomeno della great resignation? Gli antichi greci parlavano del tempo libero usando la parola scholé, cioè lo studio avente come unico fine la conoscenza. Non ammazzare né avere in odium il tempo — la radice etimologica della parola noia sembra essere proprio questa — bensì impiegarlo, amarlo.

Leggerezza, spiritualità, fragilità, sopravvivenza, progetti, tramonti, annoiarsi in compagnia e annoiarsi da soli, quindi amicizia, famiglia, microuniversi, sentimenti: ecco come si può pensare alla noia in termini positivi e come trasformare l’avere in odium in scuola. Tanti ragazzi già lo fanno.

E allora, cari adulti, non aprite quella porta. Non pensate che, se un ragazzo si annoia, non è perennemente attivo o non esce sempre di casa per affacciarsi a questo «mondo reale» di cui tanto si parla, stia solo poltrendo e non stia piuttosto progettando il futuro o riflettendo sulla propria persona.

Di fronte alla crisi della famiglia, alle troppe delusioni del mondo scolastico, all’eccessiva precarietà, all’avanzare della logica consumistica e al presentismo, tantissimi giovani non desiderano vivere la collettività né riescono più a meravigliarsi. Gli spazi fatti di collettività e condivisione non sembrano esistere più. È necessario ricostruirli. Per riflettere, fermarsi, anche annoiarsi. Per desiderare il confronto e meravigliarsi nello scoprire quanto l’altro ci assomiglia. A una condizione: farlo insieme. Altrimenti, come dice Papa Francesco, «un giovane si ossida».


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