SENZA UMILTÀ SIAMO “TAGLIATI FUORI”.
Una grotta, un buco nel terreno, è qui che Gesù, il Figlio di Dio, sta per nascere. Dio s’incarna e viene ad abitare in mezzo a noi “piantandosi” nella terra, nell’humus. Da questa parola, humus, provengono diverse altre parole come umano, umanità ma anche umile, umiltà e forse anche umorismo. Umanità e umiltà senza dubbio camminano insieme perché, lo ricordava san Paolo VI, umiltà vuol dire verità, significa guardarsi senza ipocrisie e riconoscersi per quello che siamo, esseri fatti di humus, di fango, fragili e limitati. I problemi nascono quando le due cose non camminano insieme, quando l’umanità si discosta dalla saggezza dell’umiltà e recita una parte che non è la sua, quella del potente o, peggio, dell’onnipotente. È appunto una recita, una vera “ipocrisia” (ipocrites in greco è l’attore).
La saggezza dell’umiltà che è «la via che ci conduce a Dio e, allo stesso tempo, proprio perché ci conduce a Lui, ci porta anche all’essenziale della vita, al suo significato più vero, al motivo più affidabile per cui la vita vale la pena di essere vissuta». Una saggezza quella dell’umiltà che «ci spalanca all’esperienza della verità, della gioia autentica, della conoscenza che conta. Senza umiltà siamo “tagliati fuori”, siamo tagliati fuori dalla comprensione di Dio, dalla comprensione di noi stessi. Occorre essere umile per capire noi stessi, tanto più per capire Dio. I Magi potevano anche essere dei grandi secondo la logica del mondo, ma si fanno piccoli, umili, e proprio per questo riescono a trovare Gesù e a riconoscerlo. Essi accettano l’umiltà di cercare, di mettersi in viaggio, di chiedere, di rischiare, di sbagliare...».
Pensando ai Magi prende consistenza il legame tra umiltà e umorismo: essi, i sapienti, si fanno piccoli, cioè non si prendono troppo sul serio, ma si abbassano, rovesciano lo schema mentale a cui naturalmente potrebbero fare riferimento. La loro autoironia e autocritica li salva, permette quel cammino di conversione che li scuote e li mette in movimento.
È una scena paradossale quella di Betlemme, perché da una parte c’è il movimento della terra, i Magi, come i pastori, che sentono l’urgenza dell’andare e adorare, dall’altra la pace del cielo: “stille nacht” diciamo in una delle più famose canzoni natalizie, cantiamo la notte calma, ferma, serena. In questa serenità il mondo cambia, si stravolge: il sussulto dei cuori, del cuore di Maria, di Giuseppe, dei pastori e dei Magi (molto diverso dal sussulto nel cuore di Erode), è il preludio al sussulto dell’universo che vive in questo momento una nuova creazione, una ripartenza che è l’alba della redenzione.
Così questa scena ci invita a meditare sul paradosso della necessità di fermarsi un momento nella pace, spezzando la frenesia dei ritmi quotidiani, fermarsi ma per ripartire, spegnere i motori ma per riaccendere i motivi, ritornare a quell’essenziale della vita, quello per cui la vita è degna di essere vissuta.
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