martedì 19 agosto 2025

IL CUSTODE CHE TORNÒ FRATE

IL CUSTODE CHE TORNÒ FRATE

Nove anni dopo il suo arrivo, il 24 giugno padre Francesco Patton ha passato il testimone. Con la nomina di padre Francesco Ielpo a nuovo custode, si chiude una lunga stagione per la Custodia di Terra Santa. Ma per Patton non è una fine: è un ritorno all’essenziale. «Sono un frate minore», ripete spesso, e ora più che mai sente il desiderio di essere solo questo: un semplice fratello tra fratelli.

 Lo ha detto con calma e un sorriso profondo, lo sguardo rivolto alla pietra calda di Gerusalemme, mentre i suoi confratelli trattenevano a fatica l’emozione. «Quando uno cessa dal servizio di autorità deve esserne contento — ha detto — perché il valore della persona non dipende dall’incarico. È quanto vale davanti a Dio». E ha citato san Francesco, con quella dolce radicalità che lo ha accompagnato per tutto il mandato: “Beato il servo che non si ritiene migliore quando viene magnificato…”.

 In questi nove anni ha camminato tra guerre, pandemie, emergenze e speranze, ma più di tutto ha imparato — come dice lui — a lasciarsi cambiare dal volto del Mediterraneo. In Medio Oriente “nulla è come appare”, eppure ciò che resta vero è spesso ciò che non si vede: l’ospitalità semplice, il valore delle relazioni, la tavola condivisa. «Qui le persone valgono più delle regole — racconta — e la cena non è mai solo una cena: è relazione, è accoglienza. In fondo, Gesù ha fatto lo stesso».

 

Un Vangelo vissuto tra le pietre e le persone

 Ogni luogo ha lasciato un segno. La Giordania è il Monte Nebo, “dove si guarda la Terra da lontano e il Cielo da vicino”. Cipro è la Chiesa dietro il filo spinato, il volto multietnico del cristianesimo di oggi. La Siria è la guerra, vissuta con la dignità di frati che non sono fuggiti. Il Libano è dialogo, cultura, e fraternità anche nelle crisi. Rodi è la gentilezza fatta accoglienza. L’Egitto è il dialogo con Al Azhar, sulle orme di san Francesco a Damietta.

Israele e Palestina? Non si possono separare. Sono la terra del Vangelo, del “hic”, del “qui”, dove ogni pietra ricorda una pagina, un miracolo, una parabola. «Per nove anni ho celebrato dicendo: qui è accaduto — dice Patton — e questo rende la Parola tridimensionale». In quei luoghi si fondono i popoli del Vangelo: ebrei, greci, samaritani, pagani della Decapoli, e i cristiani locali che oggi, silenziosi, portano nel DNA l’eredità viva dei primi discepoli.

 Sotto la sua guida la Custodia si è fatta più cattolica, più universale: frati da quasi sessanta nazioni, scuole, santuari, parrocchie, opere caritative. Una macchina complessa sostenuta dal lavoro, dai pellegrini, dalla Colletta del Venerdì Santo, dalla provvidenza di chi crede nel valore di una presenza. Eppure, Patton ha sempre tenuto vivo ciò che conta davvero: la relazione.

 Ricorda con affetto il patriarca ortodosso Theophilos III, “un uomo di dialogo che sogna il giorno in cui celebreremo insieme al Santo Sepolcro”. Ricorda un amico musulmano, Osama, “che da musulmano amava Gesù”. Ricorda Amir, ebreo, con cui ha condiviso più che collaborazioni: amicizia, fiducia, speranza.

 Ora? Non cerca incarichi. Vuole restare, camminare accanto. «Se dovessi lasciare fisicamente la Custodia, lei non lascerà mai me», confida. E l’ultimo pensiero è per Papa Francesco, che gli ha donato una prefazione e un messaggio ai giovani registrato con lo smartphone, a braccio, a Cipro. «Ci ha detto: alzate la testa, questa Terra non ha solo un passato da ricordare ma un futuro da costruire».

E forse è proprio questo il lascito più profondo del suo mandato: l’aver saputo vivere il Vangelo qui, tra le pietre e le persone. Come un frate, semplicemente.

 

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