martedì 2 settembre 2025

MOHAMMED KEITA: LA LUCE OLTRE IL BUIO

MOHAMMED KEITA: LA LUCE OLTRE IL BUIO 

Quando arrivò il suo turno di salire sul barcone, Mohammed Keita, sedicenne, venne perquisito da un trafficante a Tripoli, in Libia. Non aveva nulla da nascondere, se non un rotolo di fotografie custodito nella tasca. Erano le ultime immagini dei suoi genitori, morti tre anni prima nella guerra civile in Costa d’Avorio. Il trafficante, credendole soldi, le strappò e le gettò nel Mediterraneo.

Quanto può valere un ricordo, quando è l’unico che ci resta? Cosa succede a un adolescente che perde ogni legame con il proprio passato?

 Forse è in quel momento che Mohammed ha intuito la forza della memoria visiva, dell’immagine come custode di una storia. Oggi, a 32 anni, vive a Roma ed è diventato un fotografo di fama mondiale. Ma il suo viaggio, prima che artistico, è stato profondamente umano.

 

Dalla strada all’arte

 La sua nuova vita inizia a 17 anni, nei pressi della stazione Termini di Roma, tra valigie e cartoni. Lì incontra alcuni volontari del centro Civico Zero (Save the Children), che gli regalano una macchinetta fotografica usa e getta. Mohammed inizia a scattare. «Non avevo le parole, ma le immagini sì», dirà in seguito.

Una delle sue prime foto, “J’habite à Termini”, viene notata da una famosa artista e finisce esposta al Metropolitan Museum di New York. Da quel momento tutto cambia. Keita capisce di avere un talento e una missione. Ed è così che anche noi impariamo che è possibile trasformare una ferita in un’opera d’arte.

 

L’arte come condivisione

 Per Keita, la fotografia non è mai fine a se stessa. È un mezzo per raccontare, condividere, educare. Da qui nascono i laboratori “Studio Kene”: uno a Roma, l’altro a Bamako, in Mali. Luoghi in cui insegna a ragazzi come usare la macchina fotografica per raccontare se stessi e la realtà.

«Studio Kene è uno spazio di fiducia, non di giudizio. Non evidenzio le differenze tra chi è avanti e chi è indietro. Si impara insieme». Con questo spirito Keita porta avanti un’educazione alla bellezza, alla collaborazione, all’impegno sociale.

 Il 26 maggio 2025, all’ex Mattatoio di Roma, ha inaugurato la sua mostra più importante: “Porto Roma”. Il titolo è evocativo: Roma come porto, luogo di arrivo e di partenza, città di incroci e mescolanze. Le sue immagini vanno oltre i luoghi comuni: mostrano la città autentica, fragile, viva.

«La strada è un palcoscenico, dove realtà diverse si incontrano, si scontrano, convivono. Io guardo Roma da lì». La mostra si articola in vari temi e ogni sezione racconta aspetti nascosti di Roma, dal centro alla periferia. Nessuna retorica, nessuna “cartolina”: solo occhi aperti e rispetto per la verità.

Possiamo chiederci: Cosa racconta la tua città, se la guardiamo senza filtri? Come cambia il nostro sguardo se lo affidiamo a chi ha attraversato il dolore?

 «Porto Roma è un omaggio alla città che mi ha accolto, alla gente, ai luoghi, a ciò che è stato e che sarà», dice Keita. «In questa mostra c’è più Roma che me. È un modo per dire: io ci sono stato, ho vissuto, ho guardato».

Roma, dunque, non solo come sfondo ma come testimone e protagonista. In ogni fotografia, Keita restituisce frammenti di quotidianità, piccoli miracoli urbani, contrasti e armonie.

«Roma è il certificato della mia presenza» dice Mohammed.
Non una frase simbolica, ma una dichiarazione d’identità: dopo l’assenza, la perdita, la migrazione, l’arte gli restituisce un posto nel mondo.

 La storia di Mohammed Keita è una storia di riscatto attraverso l’arte. Le sue fotografie non parlano solo di lui, ma di tutti quelli che vivono ai margini. Attraverso il suo obiettivo, impariamo a guardare meglio anche noi.

E Tu quanto spazio dai per ascoltare davvero le storie degli altri?

 

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