giovedì 25 settembre 2025

OGNI BAMBINO ABBANDONATO È UN FALLIMENTO DI TUTTI

OGNI BAMBINO ABBANDONATO È UN FALLIMENTO DI TUTTI

A Lusaka, capitale dello Zambia, l’infanzia è un privilegio. Kenny Likezo, oggi studente di marketing, non può che confermarlo. Nato nel 2003 in un piccolo villaggio rurale, ha vissuto la crudele scelta di un padre che preferiva vedere il figlio lavorare come pastore di capre piuttosto che studiare. La madre, forse l’unico punto di salvezza, gli ha offerto la possibilità di una vita diversa, ma non senza sacrifici: Kenny è dovuto partire da solo verso Lusaka, vivere con la nonna, poi lavorare come domestico, fino a ritrovarsi per strada, tra disperazione e pericoli costanti.

 Non è una storia isolata. È la regola di un Paese dove l’infanzia non è garantita, dove il sistema educativo pubblico è sovraffollato, sottofinanziato e incapace di proteggere chi cresce senza famiglia. Bambini lasciati soli a cinque o sei anni devono imparare a sopravvivere in mezzo a prostituzione, droga e violenza. Crescono più piccoli dell’età reale, perché la vita li costringe a reprimere ogni debolezza. La società che li circonda li ignora, eppure ogni giorno sopravvivono contro ogni previsione.

 Il Mthunzi Centre rappresenta l’ombra, il “riparo all’ombra”, come dice il suo nome in chewa. Fondato nel 2000 da padre Renato Kizito Sesana e dalla comunità Koinonia, è un’oasi di speranza in un Paese dove la maggior parte dei bambini di strada non ha nessuno. Qui, centinaia di ragazzi hanno trovato istruzione, sostegno psicologico e, soprattutto, una comunità stabile. Kenny e i suoi compagni hanno imparato non solo a leggere o scrivere, ma a essere cittadini e persone con dignità.

 Ma ecco la provocazione: se non fosse per la solidarietà di una comunità cristiana, questi ragazzi sarebbero invisibili, considerati “perduti” dalla società. Lo Zambia – e più in generale l’Africa sub-sahariana – ha un problema grave e ignorato: le politiche pubbliche falliscono nel proteggere l’infanzia, il welfare è assente e i bambini sono lasciati al loro destino. Perché la sopravvivenza di chi cresce nelle strade non è una priorità? Perché le istituzioni non investono nella formazione, nella salute e nella protezione dei più vulnerabili?

 Il racconto di Kenny, come quello di Rickon Mwiinga o di Jones Longolongo, è straordinario, certo. Ma è straordinario proprio perché eccezionale. La loro possibilità di riscatto non è la norma: è la fortuna di incontrare persone e strutture che sfidano la negligenza dello Stato. È un miracolo in mezzo all’indifferenza.

 Il Mthunzi Centre festeggia 25 anni di attività, ma il messaggio che dovrebbe scuotere tutti noi è chiaro: la società zambiana ha abbandonato la propria infanzia. E mentre i tramonti di Lusaka continuano a colorare il cielo, centinaia di bambini continuano a lottare per sopravvivere, invisibili e dimenticati, senza nemmeno un’ombra che li ripari.

 La storia di Kenny e dei ragazzi di Mthunzi ci costringe a uno specchio scomodo: non è solo lo Zambia a dover affrontare le conseguenze di un’infanzia negata. Anche nelle nostre città, tra disuguaglianze, povertà e famiglie in difficoltà, ci sono bambini che crescono senza il supporto necessario, invisibili agli occhi di una società sempre più concentrata su velocità e consumi. Se il miracolo di Mthunzi funziona lì, perché non possiamo imparare da esso qui da noi? La loro lotta ci ricorda che costruire comunità solide, offrire protezione, educazione e affetto non è un atto di carità, ma un imperativo sociale: il futuro di ciascuno di noi dipende dal modo in cui proteggiamo i più fragili oggi.

 

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